Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

Lo scorso mese si è celebrato il sessantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma, atto ormai parte della storia d’Europa. L’occasione doveva servire anche a dare un po’ di ossigeno ad un’UE in grave crisi.

Le celebrazioni nella loro enfasi idealizzante e non prive di intenti agiografici possono facilmente far dimenticare il quadro di quel tempo, le motivazioni anche economiche di allora. Il primo passo che ha unito gli interessi di alcuni Stati europei data di qualche anno prima (1951) con la costituzione della CECA, Comunità europea del carbone e dell’acciaio. La Francia, ripresa l’Alsazia, aveva massicciamente aumentato la propria potenzialità di produzione siderurgica. Ma per sfruttarla aveva bisogno del carbone che si trovava non lontano ma comunque in Germania (Ovest). Gli USA vedevano di buon occhio quest’accordo. Con una lungimirante visione strategica avevano deciso di trasformare i due acerrimi nemici della passata guerra Germania e Giappone in due utilissimi alleati, uno al confine con la Russia, l’altro quale sentinella nel Pacifico. Con l’ammissione (necessaria) della Germania nella CECA vi era un’implicita riabilitazione per il Paese non solo sconfitto ma macchiatosi di gravissime colpe.

Il tentativo di creare poi un esercito europeo proposto da Pleven, ministro francese, fallì per l’opposizione degli stessi francesi. Con Monnet la Francia individuò nel dopoguerra in un’unione di Paesi europei da lei diretta e con una Germania, per ovvie ragioni in posizione subalterna, la possibilità di giocare un ruolo importante nella politica mondiale, ruolo che, uscita indebolita dal conflitto e con dei nuovi equilibri, le sarebbe stato altrimenti impossibile. Purtroppo la visione francese è all’origine di numerosi difetti di costruzione, tipo la concezione burocratica centralista.
La strategia aveva il sostegno degli USA, interessati ad avere un fronte europeo compatto quale alleato nella guerra fredda ormai iniziata con l’URSS. Al rilancio economico dei Paesi europei contribuì notevolmente il piano Marshall con 12 miliardi di dollari. Oltre all’impatto diretto in tempi di miseria e grandi difficoltà economiche i miliardi americani ebbero un effetto di leva sull’opera di ricostruzione che avrebbe dato inizio alle Trente glorieuses, il periodo trentennale di boom economico. Gli USA avevano interesse ad avere alleate nella guerra fredda nazioni europee economicamente forti, democratiche e capaci di resistere a lusinghe e minacce dell’URSS. Infine, la parte a grande contenuto ideale, la pace, ambita dai popoli mentre si stavano lentamente rimarginando le laceranti ferite della guerra. Non a torto si è usata spesso l’espressione di un’Europa carolingia parlando dei sei Paesi del Trattato di Roma (Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo).

Ammirevole lo spirito e le motivazioni dei Governi firmatari, grave errore sarebbe però ignorare gli interessi e le strategie che hanno preceduto il Trattato come pure ignorare tutto quanto è cambiato in sessant’anni. Caduto il Muro di Berlino, terminati guerra fredda e sistema bipolare di governo del mondo, gli USA hanno comprensibilmente perso interesse per gli alleati europei. Il baricentro geostrategico di oggi come pure la forza economica si sono spostati prevalentemente verso l’Asia. Nell’UE di oggi non c’è più nulla di carolingio. Specie con l’allargamento voluto dalla Commissione presieduta da Prodi, sono entrati nel 2004 nell’UE Paesi della Mittel ed Est Europa il cui intento era mantenere gelosamente l’identità e la sovranità da loro recuperate e mortificate per decenni da regimi comunisti fallimentari imposti dalla Russia sovietica. Nell’UE cercavano, oltre che utili aiuti economici, la protezione da possibili ritorni di fiamma dall’Est. Quindi Paesi in contraddizione totale con lo scopo conclamato dell’UE della sempre più stretta unione con rinuncia di sovranità. Fu un errore tipico di quelli nei quali ricade continuamente la tecnocrazia europea: agire sulla base di piani che ignorano la realtà. Si allarga l’UE sempre più non tenendo conto delle diversità delle storie e dei fini. Si introduce una moneta unica in una realtà di Stati economicamente e finanziariamente non omogenei. Si aboliscono le frontiere europee (Schengen) ma non si tiene conto delle frontiere create dalla diversità dei sistemi sociali, originando il turismo sociale, una delle ragioni della Brexit. Si creano le frontiere europee ma non ci si occupa di chi concretamente le controllerà, neppure ipotizzando il fenomeno dell’immigrazione di massa che si andava delineando. Si celebrano settant’anni privi di guerra, ignorando i conflitti nei Balcani e tacendo che oggi gli Stati europei non hanno né soldi, né armi, né eserciti nazionali (cittadini pronti a morire per la Patria di un tempo) per fare una vera guerra. Smettiamola di dimenticare i fatti.

Giuste le celebrazioni di un fatto storico importante ma forse sarebbe bene capire che anche i piani migliori se ignorano la realtà e non hanno l’adesione dei cittadini sono destinati al fallimento.

Tito Tettamanti