Gabriele Morleo regista, produttore cinematografico e artista contemporaneo, rappresenta l’Arte del nostro secolo nella sua forma più ecclettica: consapevolezza storica, capacità tecniche e artistiche, indagine socio politica. E poi ancora il tema dell’ateismo, del dolore, del socialismo. Dalla società alla metafisica, l’artista sa spaziare con grande maestria e ineffabile immediatezza.  Per questo Ticinolive ha deciso di intervistarlo.

Intervista di Chantal Fantuzzi

Classe ’81, nato a Conversano, ha studiato Arti e Scienze dello spettacolo presso “La Sapienza” a Roma, nel 2005 ha fondato la casa di produzione cinematografica indipendente Koyaanisqatsy

Dal cinema alla pittura. La parola cinema, in greco significa esattamente immagine in movimento. Cosa pensi a proposito di ciò? e riguardo il tuo percorso?

Io credo che tutta l’arte sia fatta di immagini in movimento. Certo, il cinema, da un punto di vista tecnico lo è in senso stretto. Ma immagini in movimento sono in grado di produrle anche la musica, il teatro, la letteratura e, naturalmente, tutte le arti visive. L’arte non esiste senza un immagine in movimento. Proviamo a pensare a un concerto di musica classica, al Direttore d’orchestra e ai suoi professori. È il loro atto performativo che produce la sinfonia che ascoltiamo; restiamo incantati, infatti, non solo nell’ascoltare, ma anche nel guardare, e qualora ascoltassimo quella stessa sinfonia alla radio, comunque non potremmo fare a meno di immaginare quel movimento. Possiamo dunque dire che l’arte è il frutto di immagini in movimento: a volte le mostra, altre le evoca.
Inoltre Il movimento è dato dalla narrazione stessa, dal racconto che ogni espressione artistica contiene al proprio interno. L’opera d’arte non è mai un fatto assoluto: è semplicemente il momento più suggestivo tra un prima e un dopo. Infatti, la mia ricerca si basa principalmente su una sorta di studio toponomastico dei possibili snodi narratologici di una storia. Per la precisione, della storia che ci circonda.

Con un video su Colin che incide mele, citando lettere di Gramsci e la pittura di Courbert. Un viaggio introspettivo culturale a ritroso per riscoprire la genesi storica del socialismo?

In realtà ne “Gli dei partono/documentazione di un lavoro” io ed un altro artista, Federico Cavallini, ci siamo limitati a documentare, appunto, il lavoro che Colin Darke ha realizzato per “Carico Massimo”, lo spazio indipendente che io, Federico e altri artisti e curatori gestiamo a Livorno. Colin ha inciso su 556 mele una lettera sul futurismo scritta da Gramsci e indirizzata a Trotsky. Lo ha fatto lavorando per una settimana, otto ore al giorno, come fosse un operaio, dimostrando così che, seguendo i modi di produzione di stampo fordista, qualsiasi lavoro, compreso quello dell’ artista, diventa un fenomeno alienante. Il video è molto realistico, perciò molto lento in quanto molto lento è stato il lavoro.
Poco tempo dopo ho proiettato il film all’interno di macchinette video poker, in un bar della periferia romana: mi piaceva contrapporre la velocità con le quali scorrono le mele delle slot alla poetica lentezza delle mele incise da Colin. Per il resto devo dire che da artista di formazione marxista, qualsiasi mio lavoro risultata essere un viaggio volto a riscoprire la genesi del socialismo, nonché, volgendo lo sguardo al passato, un modo per guardare e comprendere, complessivamente, presente e futuro. Per guardare nella sua totalità un panorama, infatti, occorre sempre indietreggiare.

Su Gramsci hai anche girato un film. Come pensi invece che potrebbe egli esser raffigurato pittoricamente?

Forse come ho già rappresentato Marx: bendato.

Le lettere dal carcere, ieri e oggi. Hai lavorato coi detenuti e hai dichiarato che il carcere non sia collimabile con una società civile. Bisogna eseguire distinzioni sui detenuti?
Sì, penso che il carcere sia il monumento al fallimento di una società. Inoltre trovo esteticamente grottesco il fatto che si possa rinchiudere gente in gabbia. Tuttavia no, non credo si debbano fare distinzioni fra i detenuti perché credo che, a prescindere, uno Stato non debba eseguire discriminazioni nei confronti di nessuno.

Cosa pensi, a proposito, del caso Totò Riina?

Non è facile rispondere. Per una ragione semplicissima: Totò Riina ha chiesto di uscire dal carcere rivendicando il diritto ad avere una morte dignitosa. Bene, a occhio e croce io e Totò Riina abbiamo un’idea di dignità leggermente diversa. Io penso, ad esempio, che dignitoso fu Pertini quando rinnegò la madre, che pur amava smisuratamente, poiché costei chiese al governo fascista la grazia per il figlio detenuto. Ecco per me la dignità è questa. Pertini si trovava lì perché si era opposto ad uno Stato che non riconosceva e contro il quale combatteva, anche a costo di morire tra le mura di un carcere. Totò Riina invece no. Allora penso: o sei talmente poco dignitoso da chiedere pietà a quello Stato che, come romanticamente si racconta, hai combattuto, o adesso chiedi il conto ad uno Stato connivente con te e la tua organizzazione. Ad ogni modo, mi è sempre importato poco della dignità nella morte: mi interessa quella in vita. E nessuna morte decorosa potrà dare dignità alla sua vita.

Una tua opera, identità di carta, mostra Hitler come “artista mancato”. L’arte può redimere? La bellezza può dostojevskijanamente salvare il mondo?

Non credo che redimere sia il compito dell’arte. Penso invece, che l’arte serva a raccontare la verità attraverso la bellezza, la quale certo non salverà il mondo poiché sarà troppo impegnata a salvare se stessa dal mondo.
Credo tuttavia, come diceva Stendhal, per risponderti con un’altra citazione, che “la bellezza è promessa di felicità”.

Una profonda coscienza storica resa arte contemporanea, con apparente leggerezza. A cosa devi questa tua capacità​?

Non so se si possa definire “capacità”. Direi che si tratta di una scelta etica ed estetica relativa al mio lavoro e alla mia ricerca. Penso che l’artista debba essere un cronista onesto e fedele del proprio tempo. Semplicemente egli sceglie quale forma dare a queste “cronache”, attraverso l’utilizzo di tecniche e, soprattutto, di materiali, i quali hanno un ruolo importantissimo nell’arte contemporanea. I materiali, infatti, costituiscono le parole che l’artista utilizza per produrre il proprio racconto. La leggerezza e l’ironia – anch’esse a loro modo sono materiali- rappresentano un elemento chiave del mio lavoro. Quando morì Monicelli realizzai un’opera che si intitola “Il peso della leggerezza”, proprio perché di Monicelli mi affascinava il fatto che si fosse approcciato a temi di straordinaria grandezza e importanza (penso al tema della guerra o della famiglia) con estrema leggerezza e ironia. In un modo affollato di gente che dice cazzate, condite da un’inadeguata pesantezza.
Inoltre, la mia ricerca, è innegabile, risente fortemente dell’influenza delle Lezioni americane di Italo Calvino…

Un’altra tua opera, fidex, presenta immagini sacre trasposte su lastre di una radiografia, per rendere il mistero della vita, della malattia, della morte. L’arte, a parer tuo, riesce a parlare meglio della religione?

Penso che l’arte sia in costante dialogo con la religione.

Ateismo. Ribellione o presa di coscienza?

ogni qualvolta guardo un tramonto, un’alba, o qualsivoglia spettacolo la natura offra penso che, da artista, sono Ateo per invidia. Tuttavia ho più volte letto la Bibbia, un testo che amo, e che mi affascina (nel bene e nel male); ma studiandola ho anche imparato a storicizzarla, a pensarla come una straordinaria produzione, ma pur sempre umana. In fin dei conti è impossibile definirsi completamente atei poiché Dio ormai esiste …. in quanto creato dall’uomo.

Una curiosità. Come hai fatto a realizzare questo interessante virtuosismo tecnico?

In realtà si tratta di un lavoro semplicissimo. Ho appoggiato delle lastre mediche su immagini sacre dell’iconografia cristiana legate al tema del dolore. Immagini scaricate da internet e stampate con una comunissima stampante. Questo è un po’ il paradigma dell’arte contemporanea, in particolare di quella concettuale. Non serve possedere particolari competenze tecniche. È un lavoro che possono rifare tutti. RIFARE, appunto, perché ormai è già stato fatto, ma soprattutto, è stato già pensato. Da me. E il pensiero non è emulabile.

Cosa hai in progetto al momento?

Un musical su un pasticcere trotzkista nell’Italia conformista degli anni Cinquanta

Per concludere. Una frase d’auspicio per il futuro prossimo?
Il socialismo.