dal portale www.pietroichino.it

Quando avalla l’idea che sia utile mandare prima in pensione i sessantenni per combattere la disoccupazione dei giovani,  il Pontefice non considera che il maggior debito pubblico contribuisce a soffocare la nostra economia e saranno comunque i giovani stessi a doverlo ripagare

Nell’udienza pontificia che mercoledì ha inaugurato il congresso nazionale della Cisl, Papa Francesco si è avventurato su di un terreno non suo: quello dell’economia del lavoro e del welfare. Col risultato di inserire nel suo discorso un luogo comune tanto diffuso quanto infondato: quello secondo il quale ogni sessantenne in più che continua a lavorare impedisce di lavorare a un giovane. Può essere così sul piano micro-economico: può accadere che in una singola azienda il pensionamento di un sessantenne apra la possibilità di assumere un ventenne; ma sul piano macro accade semmai l’inverso. I Paesi come il nostro nei quali per decenni la cosiddetta “spesa sociale” è stata dedicata principalmente a finanziare il pensionamento precoce dei cinquanta-sessantenni sono quelli nei quali l’economia è più debole e il tasso di occupazione giovanile è più basso, mentre in quelli nei quali è più alto il tasso di occupazione dei sessantenni è più alto anche quello dei ventenni. Anche perché in questi ultimi i sessantenni continuano a mantenersi da soli producendo ricchezza e la spesa sociale può essere dedicata all’attivazione di servizi per chi veramente ne ha bisogno, che attivano domanda di manodopera per i più giovani: le famiglie con persone non autosufficienti, le persone in condizioni di povertà e di esclusione, le persone che devono allevare un neonato, e così via. Viceversa, quando per pensionare i cinquanta-sessantenni non bastano i contributi che essi hanno versato, ma occorre aumentare il debito pubblico, quel debito dovrà essere ripagato da chi oggi ha vent’anni: non gli si fa un buon servizio. Nelle parole del Papa di mercoledì scorso mi è parso di sentire un po’ troppo della cultura politica peronista dominante nel suo Paese d’origine, e un difetto di attenzione a quella autonomia della cultura, della scienza e della politica dal magistero ecclesiale, che venne sancita cinquant’anni or sono dal Concilio Vaticano II.

sen. Pietro Ichino