Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

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Ha fatto secondo me molto bene Ruben Rossello a sollevare una questione di capitale importanza per la libertà di espressione e, in definitiva, per la difesa della democrazia con: «Tra giustizia e media: zittire i giornalisti?» (CdT di mercoledì 28 giugno scorso).

Avevo creduto fino a poco tempo fa che di «accanimento» si parlasse oggi soprattutto in rapporto a quello terapeutico. Adesso so che esiste pure l’«accanimento mediatico». Mai mi sarei però immaginato che questo accanimento potesse essere considerato una sorta di reato.

Se un organo d’informazione si accanisce (insiste eccessivamente, ripetitivamente senza portare ulteriori nuove informazioni) su qualcosa o qualcuno fa, secondo me, solo della cattiva comunicazione. Starebbe poi alla libertà del consumatore, di ogni singolo individuo, decidere quale prodotto scegliere, a quale organo affidarsi. Che ne pensano in proposito i responsabili di «Patti chiari»?

Logicamente, oltre che lecito, sarebbe doveroso criticare se non addirittura boicottare, i comportamenti di certi media da specchietti per le allodole. Ma da lì sino a giungere a denunce penali per questo tipo di «accanimento» mi sembra proprio che ce ne corra.

Altri sarebbero invece i problemi ben più gravi da affrontare e cercar di risolvere per mantenere vivo un pluralismo critico nella nostra società. Ma quanti sono ancora i giovani che leggono i giornali e che seguono alla televisione i dibattiti e gli approfondimenti sociali, politici, culturali? E quanti coloro che alla radio non ascoltino oggi acriticamente quasi solo pisciatine più o meno canore, parole a vuoto, misteriosi rumori? Certo, se addirittura un Canetta o un Ceschi (e magari un Savoia), dalla posizione che occupano in seno alla RSI, sentono sovente l’urgenza di esternare il loro ego anche attraverso messaggi sui «social» cosa ancora dovremmo/potremmo aspettarci dal nostro «massimo ente culturale»?

Quella RSI che, tra un tic–tac e un altro, sta tentando di rinnovarsi con un nuovo slogan: «RSI. La tua storia». Cara RSI, e se fossimo giunti alla fine della tua, e della nostra storia? E, con il virtuale, addirittura alla fine della Storia?

La storia di tutto il genere umano. La storia di quella specie animale che ha vissuto – ed è sopravvissuta – per secoli e millenni grazie pure ai racconti e alle testimonianze orali, ai documenti scritti, alle sculture, ai dipinti della sua storia. Naturalmente attraverso strumenti analogici. Quegli strumenti e quei supporti che si sono conservati lungo numerosi millenni… Quell’armamentario che però oggi non fa più parte della ben più effimera e aleatoria cultura informatico mediatica.

O forse questo tipo di storia non è più degna di interesse nel mondo in cui viviamo? Di quel mondo oggi totalmente immerso, sopraffatto, sconvolto dal virtuale? A Comano nessuno ci ha mai pensato? O che qualcuno ci stia pensando?
Tic–tac, tic–tac…

Orio Galli