Venerati come Dei, perseguitati da fanatici religiosi, vezzeggiati come cortigiani, sublimati come eteree muse ispiratrici di poeti e scrittori ed eternati da celebri pittori, I gatti sono i silenti e austeri consiglieri d’ogni tempo, dalle iridi d’opale e dal manto di velluto, dai melodiosi miagolii e dai furiosi soffi, teneri e capricciosi, indipendenti e dolcissimi, sfuggenti e intriganti, pigri e scattanti, molto più che animali da compagnia.

Nell’Antico Egitto, ci racconta Erodoto (484-425 a.C.) nelle sue Storie, erano deificati. Il gatto maschio poteva infatti essere la personificazione del dio Mafdet, che sconfigge il serpente del male, in quanto uccisore di topi, scorpioni e serpenti, che infestavano i raccolti nei granai e ispiratore delle delibere accolte dal faraone; la gatta femmina era invece rappresentazione della dea leonessa Sekhmen, guerriera e bellicosa, ma anche della dea Bastet, figlia del dio del sole Ra e della dea della luna Iside, donna dalla testa felina, affettuosa madre e protettrice dei suoi piccoli. Una madre guerriera, capace sia di attaccare che di proteggere, u8n po’ come la Lupa di Roma, dai denti aguzzi ma dalle mammelle gonfie di latte. Venerati fin dal 3000 a.C., in Egitto i gatti erano anche protetti da leggi, poiché chi avrebbe osato fare loro del male sarebbe stato punito anche con la pena di morte e, in occasione del decesso di uno di essi erano previsti riti funebri e processi di imbalsamazione. (frequenti le mummie feline, soprattutto al museo del Louvre.) Erodoto scrive che visitò anche il tempio di Bubasti, dedicato alla dea Bastet e assistette, nell’aprile del 450 a.C. ad una cerimonia in onore dei felini.

Narra poi la leggenda che una sacerdotessa di Iside, in una notte d’agosto in cui la luna piena si rispecchiava nelle placide e misteriose acque del Nilo, innamoratasi di un mercante fenicio, gli regalò, come pegno d’amore, un gatto. Ma l’amato, irriconoscente, partì in barca all’alba del giorno seguente per vendere immediatamente il prezioso animale. Dai contrabbandieri fenici, in effetti, i gatti si diffusero in Europa. Durante la prima colonizzazione greca, inoltre, nel VIII sec. a.C., i mici venivano portati sulle navi in quanto protettori delle provviste perché debellatori di ratti. Per i Greci erano sacri ad Artemide, dea della Luna e signora degli animali, per i Romani erano consacrati alla corrispondente Diana. Sempre connessi, quindi, al culto lunare, mistico e materno, come riportano Erodoto e Plutarco.

L’Imperatore Augusto, nel 10 d.C. scrive della sua gattina la mia gatta, dal pelo lungo e dagli occhi gialli, la più intima amica della mia vecchiaia, il cui amore per me sgombro da pensieri possessivi, che non accetta obblighi più del dovuto (…) mia pari, così come pari agli Dei, non mi teme e non se la prende con me, non mi chiede più di quello che sono felice di dare. Com’è delicata e raffinata la sua bellezza, com’è nobile e indipendente il suo spirito; come straordinaria la sua abilità di combinare la libertà con una dipendenza restrittiva.

Per Plinio il Vecchio, forse proprio per il loro spirito indipendente, i gatti sono raffigurati talvolta ai piedi della dea Libertas.

Presso i Celti erano invece visti come presenze misteriose e inaffidabili e in Scozia, purtroppo, connessi con la stregoneria. In Irlanda, addirittura, il re usurpatore Cairbre, venne apostrofato dal popolo con il nome di Cinnchait, che significa ‘testa di gatto’. Presso i popoli germanici venivano protetti e tenuti in gran considerazione poiché, come già per i greci, protettori dei granai e chi si macchiava dell’uccisione di uno di loro doveva pagare un’ammenda in viveri.

In Scandinavia la bionda dea Freya, protettrice dell’amore e della bellezza, varcava le gelide notti del nord, con un carro ricamato dall’oro degli astri e dall’argento della luna, trainato da gatti fatati capaci di correre per i cieli sfavillanti di stelle d’argento e sulle nevose distese cristalline della terra.

Vezzeggiati sia in Cina che in Birmania, la fama dei gatti aumentò graziosamente quando, nel 999 d.C. alla corte dell’imperatore giapponese, ne nacquero cinque, tutti bianchi e fu ordinato che fossero trattati come cortigiani d’alto lignaggio.

Nell’Europa medioevale la loro presenza venne connessa alla stregoneria anche se furono rivalutati grazie all’amore per gli animali del caso (isolato) di San Francesco. Fu però tra il finire del ‘400 e la metà del ‘600 che, assieme ai terribili roghi di streghe furono arsi anche i gatti. In Germania nel 1487 fu redatto il Malleus Maleficiarum, un elenco delle varie motivazioni per cui una strega sarebbe potuta essere considerata tale, tra cui, appunto, quella di avere un gatto con sé. In Gran Bretagna nel 1570 William Baldwin pubblicò Barvare the Cat seguendo la popolare credenza che le streghe si incarnassero in esseri felini. Fece eccezione, in quell’epoca, il Cardinal Richelieu che di gatti ne aveva quattordici, tutti beneamati.

Jean Honoré Fragonard XVIII sec “Le chat Angora”

Con l’illuminismo (tralasciando i tristi esperimenti che la nascente scienza compì anche sugli animali) la figura felina fu rivalutata e diversi scrittori resero il gatto protagonista delle loro storie. Celeberrimo è infatti il Gatto con gli Stivali scritto da Charles Perrot (1628-1703) e meno conosciuta ma affascinante e bellissima la fiaba La Gatta Bianca scritta dalla baronessa Marie Catherine Le Jimel de Branderville, nella quale un principe s’innamora d’una damigella quand’ella è ancora sotto le sembianze d’una gattina bianca. Luigi XV amò un gatto bianco che compare anche in alcuni ritratti, Brillant, donatogli dalla bella Madame de Pompadour . Infine Pasteur indicò il gatto come massimo esempio di pulizia personale.

La regina Vittoria adorava i suoi due persiani azzurri e Renoir ritrasse diversi gatti comuni (ma tutti d’una personale ed irripetibile bellezza) nei suoi quadri.

Da dei ad amici, i gatti restano un’austera e al contempo adorabile presenza accanto all’uomo, spesso troppo affaticato dalla vita quotidiana ma capace di ritrovare la quiete grazie al di loro affetto.

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato; ritira

Le unghie nelle zampe, lasciami sprofondare nei tuoi

Occhi in cui l’agata si mescola al metallo.

Charles Baudelaire, il Gatto. (da I Fiori del Male.)

Chantal Fantuzzi

ps. Anch’io ho due gatti. La persiana Milù e il rossino Willy. Insieme sono un po’ come nonna e nipotino.