Raphaël Brunschwig: “Unico. Travolgente. Di scoperta.”

Ticinolive intervista il Presidente di Locarno Festival, Marco Solari e il Vice Direttore Operativo Raphael Brunschwig

2017

Dalla finestra dell’ufficio si vede svettare Cardada, la cui cima è attorniata dalla bruma che sale verso il cielo terso. Locarno splende anche dopo la pioggia, indorata dal sole di giorno, illuminata dalle stelle che ne solcano il red carpet la sera. Ma non è solo glamour, come spiegano a Ticinolive il Presidente di Locarno Festival Marco Solari e il Vice-Direttore Operativo Raphaël Brunschwig. Poiché il Festival è cultura, dinamicità, futuro. E molto altro ancora.

Marco Solari, Presidente Locarno Festival

Presidente, com’è cambiato dal suo avvento il Festival e quali sono state le maggiori novità che lei è riuscito ad apportare e delle quali va fiero?

Il Festival è cresciuto. È chiaro che i Festival non possono stare fermi e noi siamo condannati a crescere anche per via della concorrenza, nel 2000 quando presi in mano questo Festival c’era una crisi operativa (non v’era un manager), finanziaria (avevamo più di un milione di debito dell’UBS), artistica (il direttore artistico Marco Müller era appena partito), e si trattava di decidere se continuare o meno con questo Festival. Allora ero vice presidente della Ringier a Zurigo e quando Marina Masoni e gli altri membri del governo di allora mi chiesero se avessi voluto prendere in mano questo Festival, incautamente dissi di sì. Pensavo di poterlo fare come una specie di hobby, ma mi accorsi da subito di avere tra le mani un piccolo mostriciattolo, che doveva essere da subito dominato. Dapprima sembrò molto facile, poi si dimostrò più complicato di quanto sembrasse. Risolvemmo il problema artistico con Irene Bignardi, quello finanziario era più complicato ma avevamo la promessa d’aiuto da parte del governo; per risolvere problema operativo riportai tutta la mia esperienza di Zurigo. Di che cosa sono fiero? Credo che l’unica cosa della quale sia fiero è di non essermi sbagliato – sino ad oggi- della scelta delle persone che hanno composto e compongono il mio team. Si può essere il più bravo manager del mondo, ma se non si ha la capacità di intuire le persone e di intuirne il loro potenziale, si è un uomo morto.

Qual è la sua relazione con il Leopard Club?
Di profonda riconoscenza. Il Leopard è altrettanto importante in quanto partner principale.

Qual è stata finora la serata più memorabile e scintillante, che l’ha fatta emozionare di più come Presidente? (personalmente penso a quelle composte dai cast stellari…)
Sono abbastanza resistente al glamour. Per me le serate più importanti non sono quelle che hanno più paillettes, anche in esse vi sono grandi e bravissimi attori. Per me resta una delle serate più intense quella con Harry Belafonte, che tanti pensavano fosse solo un bravo cantante, che circa sei anni fa si rivelò essere uno degli artisti più carismatici del mondo. Venne qui a Locarno e tenne una lezione sulla responsabilità dell’artista di dire sempre la verità, anche se questa è scomoda.

A cosa si riferisce, parlando a PardoLive della Rivoluzione del ’68?

All’utopia della sinistra che a un certo momento al Festival abolì il pubblico e i premi, finendo in una sala del cinema a fare delle assemblee; ma si sa che i Festival sono sempre specchi della società e di determinati momenti. Non funzionò poiché come ha detto poc’anzi Raphaël Brunschwig non bisogna dimenticare che Locarno Festival è alla fine comunque un festival, non una lezione universitaria: ha bisogno anche di personalità del cinema, della sua porzione di glamour, senza smentire che sia un festival di contenuti.

A cosa si riferisce, parlando delle “utopie della Rivoluzione Francese”?

Lo scrittore Romand Rolland definì le utopie alla francese, non come luoghi inesistenti (della concezione greca dell’ u-topos, dei non luoghi) né con la nozione in tedesco dell’impossibilità vista quasi negativa, e nemmeno come le grandi ideologie in nome delle quali furono commessi crimini atroci, bensì intendendole come l’utopia, per l’appunto, alla francese: libertà, fraternità, uguaglianza, nate alla fine del Secolo dei Lumi dei grandi intellettuali francesi, che hanno rivoluzionato tutto il pensiero occidentale. Questi sono i valori a cui mi riferivo, che il Festival di Locarno incarna.

Nei film presentati c’è una forte citazione letteraria. Il Locarno Festival come coniuga la letteratura con, ancora una volta, la mondanità? Come riesce a presentarsi a un pubblico così culturalmente eterogeneo, variegato e stratificato?

Il glamour non esclude necessariamente la cultura. Cerchiamo di avere delle persone che abbiano un nome.

Qual è il genere cinematografico che Lei, personalmente, preferisce?

Io sono un manager, non necessariamente uno specialista di film. Chiaramente non si può essere cardinale senza essere cattolici.
Il genere che preferisco sono quelli dei grandi maestri, per esempio Orson Wells, con il film Citizen Kane, che mostra tutta la solitudine anche quando hai raggiunto il massimo della fama e del potere.

Quanto la impegna la gestione del Festival?

Da quando ho accettato la gestione, in un anno non faccio praticamente vacanza. Sono disponibile 7 giorni su 7, il che, oggi non significa più avere l’orario dell’ufficio. Significa non spegnere lo smartphone, che è una scelta, che io ho accettato. Al sabato e alla domenica non mando sms, al massimo scrivo mail alle quali tuttavia non mi aspetto risposta immediata, la quale può arrivare anche al lunedì. Ai miei collaboratori, soprattutto ai direttori operativi, ho detto che sono disponibile 7 giorni su 7.

In un’altra vita riaccetterebbe questo incarico?

Sono nella posizione dove non devo più niente a nessuno: finché posso dirigere questo festival come penso che debba essere diretto, ci sto. Il giorno in cui, per caso, per impedimenti o forze maggiori, dovessi desistere, me ne andrei dall’ oggi all’indomani senza alcun rimpianto. Finora tuttavia non ne è stato il caso, quindi vuol dire che quello che sto facendo, personalmente, mi piace.

Com’è essere Direttore di questo Festival?

Alla National Gallery guardi il San Giorgio di Paolo Uccello. Il drago mangia le persone, il santo lo ferisce e la donzella lo può prendere al laccio, questo è un po’ il festival. Deve riuscire a prendere al laccio.

Il Locarno Festival è un Monstrum da domare?
Può essere, anche se riusciamo a domarlo. Però le assicuro che ogni tanto sputa fuoco.

Come la torre del ciclo bretone, sotto cui ci sono i draghi?
Sotto ci sono i draghi che sputano fuoco, esattamente.

Per concludere: come descriverebbe, in breve, il Locarno Festival?

Il Festival deve sapere sorprendere, sapersi innovare, ma anche saper resistere. Resistere alle mode troppo facili, ai compromessi. deve sempre rimanere se’ stesso.

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Raphaël Brunschwig,Vice-Direttore Operativo Locarno Festival

Locarno mi sembra abbia questa grande capacità di coniugare film d’autore con film del Blockbuster, quindi di offrire l’ampia possibilità al pubblico di usufruire sia di film commerciali che d’essai. Come si coniuga la mondanità con film d’autore?

È una dicotomia che rappresenta la forza di Locarno, i veri cuori sono due, da una parte c’è quello più visibile che è Piazza Grande con il red carpet la sera, con questa celebrazione quotidiana di quello che è il cinema nella sua completezza, ovvero le star, e la celebrazione degli attori, e, dall’altra parte, l’altro cuore del festival che è il concorso internazionale dove bisogna garantire quella qualità che permette a Locarno di profilarsi nel mondo culturale e internazionale. Sono due facce della stessa medaglia che vanno curate con cura e in modo diverso.

Come riesce, a suo avviso, il Locarno Festival a coniugare la letteratura citata nei film con la mondanità?

Quello che succede in qualsiasi Festival è che vengono mostrate storie scritte da persone con esperienze più o meno intense, il che rappresenta qualcosa di diverso rispetto alla letteratura… personalmente penso che la prerogativa per chi ne usufruisce debba essere per forza la varietà del pubblico stesso. Ci sarà chi riesce a leggere di codici e dei linguaggi altri, rispetto a chi non ha domestichezza con questi codici e questi linguaggi, c’è sempre un’alchimia unica tra lo spettatore e il film visto.

Il 70esimo è stato molto eclatante, pensa che sarà così anche l’anno prossimo?
Quello che è chiaro è che tutto quello che abbiamo fatto verrà consolidato. È insito nella natura del festival continuare a crescere e noi cresceremo…

Che differenza ha il festival di Locarno rispetto a Venezia o Cannes?

Cannes è indubbiamente il festival più importante al mondo, che raccoglie in se decine di migliaia di nomi è per professionisti; Venezia esercita un grande fascino sull’immaginario collettivo, in particolare degli americani che ancora subendo questo fascino vi accorrono in massa, grandissime star. Sul piano internazionale Locarno si distingue da sempre per indipendenza, libertà e anche giocoforza di scoperta nuovi talenti e nuove cinematografie, che vengono poi presentate a più pubblici vasti. Locarno è un festival di scoperta.

In che modo, a suo avviso, si sposano le attività artistico-culturali del Rivellino e della rocca viscontea al Festival del Film?

Qualsiasi iniziativa che arricchisca l’offerta globale è benvenuta.

Com’è essere Direttore operativo?
Glielo saprò dire esattamente tra qualche settimana. Sicuramente un privilegio, ma anche un enorme impegno.

Il Locarno Festival è travolgente?

È una bestia feroce che se non lo si sa domare ti travolge.

Interviste a cura di Chantal Fantuzzi – Riproduzione Riservata Ticinolive