Martyr, R. Mazen Khaled, Biennale Cinema Venezia, COLLEGE

Sinossi: Lo strano annegamento di un giovane uomo sulla spiaggia di Beirut sfocia in un funerale di massa. Gli amici accorsi da svariate comunità vicine, non solo si troveranno ad affrontare il senso della perdita, ma dovranno anche lottare per partecipare ai riti e alle cerimonie della comunità del defunto. Il viaggio tra la vita e la morte che il giovane intraprende nell’ultimo giorno della sua vita metterà a nudo le scissioni in atto nella città e le fratture intorno alla società. Oltre a rivelare alcune delle forze che agiscono sulle vite di questi giovani emarginati. Nella tradizione islamica, l’annegamento è motivo per essere considerati martiri. Ma cosa significa veramente questa parola? È un modo per consolare una famiglia in lutto e arginare il suo dolore? Oppure è semplicemente il vano tentativo di un gruppo emarginato di evocare eroismo e mito per compensare sulla morte ciò che non è stato conquistato in vita? Nel film le immagini di una verità cruda si mescolano a scene astratte di danza e performance allo scopo di presentarci un mondo dove, come in quello reale, la linea di demarcazione tra la verità e la finzione, l’autenticità e l’invenzione ha cessato di esistere.

Esploriamo il corpo di quello che poi sarà il martire. La cinepresa si attarda sul corpo centimetro per centimetro, va con lui sotto la doccia. Lo riprende in un’erezione mattutina che viene interrota dalla voce del padre: « Esci che hai finito tutta l’acqua! »

La voglia del protagonista di dimostrare forza e coraggio, che non riesce, ma desiderebbe fare partecipando con i giovani pronti a combattere per il loro dio, la esprime con un tuffo dalla balaustra del lungomare di Beirut. Un tuffo che gli sarà fatale. Si nuota tra le esperienze di questo ragazzo che ama, riamato il suo amico del cuore. Un amore platonico, intenso, poetico. Non espresso fisicamente ma esplorato in un’amicizia virile. L’amico, quello che è come un fratello in fede. Durante la cerimonia, la preghiera dell’amico, danzando con il morto annegato, è una professione di fede e amore: « la tua bocca, dolce come un biscotto al miele ». Il mare rappresentava la sua libertà, la sua evasione. E muore tuffandosi come un vero martire, spinto letteralmente ai margini della società. Come tanti giovani musulmani.

 

Foxtrot, R. Samuel Maoz, Biennale Cinema Venezia, VENEZIA 74

Sinossi: Quando degli ufficiali dell’esercito si presentano alla porta di casa e annunciano la morte del loro figlio Jonathan, la vita di Michael e Dafna viene sconvolta. Mentre la moglie dorme sedata dai tranquillanti, Michael, sempre più frustrato dall’eccessivo zelo dei parenti in lutto e dei beneintenzionati burocrati dell’esercito, entra in una turbinosa spirale di rabbia e si ritrova davanti a un’imprescrutabile svolta nella vita. Paragonabile alle surreali esperienze vissute dal figlio come soldato.

8 anni fa il regista ha ottenuto il Leone d’Oro con il suo film « Lebanon ».

Ed è meraviglioso disegnatore di questo nuovo film, « Foxtrot » che ci fa esplorare un pensiero di Einstein: « la coincidenza è il modo che dio ha di restare anonimo ».

Attraverso la storia di un padre e di un figlio si assiste alla danza dell’uomo con il destino. Una parabola filosofica che prova a decostruire il vago concetto di « fato ». Padre e figlio sono lontani eppure, nonostante la distanza e la separazione totale (il figlio militare in un posto di blocco in mezzo ad una steppa di melma, il padre nella casa alto borghese, è un architetto affermato, in città) l’uno interviene nel destino dell’altro. Ciò che controlliamo e ciò che invece non riusciamo a controllare è il divario che viene analizzato dal regista. Magistralmente. Con tensione, tensione, tensione in una terra, Israele, dove la tensione è perennemente presente. E che sorvola le esistenze, influenzandole e evocando fantasmi che non riescono a trovare pace. Uno spinello fumato dai genitori, sopraffatti dalla tragedia della perdita del figlio, permetterà loro di ridere di questo fato terribile. Di ritrovarsi, dopo essersi autonflitti flagellazioni (il padre si ustiona volontariamente con l’acqua bollente, la madre si tormenta le nocche a sangue con la pietra pomice) in una unione di sopravvissuti. Come affrontare amore e dolore. Un film da vedere.

Desio Rivera