Three Billboard outside Ebbing, Missouri – R. Martin McDonagh, Biennale Venezia, VENEZIA 74

Sinossi: TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI è una dark comedy diretta dal premio Oscar® Martin McDonagh (IN BRUGES – LA COSCIENZA DELL’ASSASSINO).
Sono passati diversi mesi dall’omicidio di sua figlia e Mildred Hayes (attrice premio Oscar® Frances McDormand), poiché ancora non è stato trovato il colpevole, decide di rompere il silenzio, comprando tre cartelloni stradali che generalmente indicano la direzione verso la propria cittadina, per scrivere un messaggio polemico nei confronti di William Willoughby (attore nominato all’Academy Award® Woody Harrelson), lo stimato capo della polizia locale. La situazione si complica quando l’agente Dixon (Sam Rockwell), un ragazzo immaturo e viziato, si intromette fra Mildred e le forze dell’ordine di Ebbing.

La rabbia, quella bella rabbia giusta, che viene dal cuore, che stimola e fa compiere azioni sentite, urla di piacere, sentimenti umani che urgono di trovare pace. Passione, ma non è amore! E qui sono tutti arrabbiati. La madre per l’ingiustizia che non ha ancora permesso di trovare il colpevole di chi ha compiuto lo stupro e il terribile omicidio della figlia. L’agente Dixon, arrabbiato con i negri e che gode picchiandoli, la madre dell’agente che lo incita a esprimere rabbia, la sua rabbia verso il mondo e che la rende incattivita e maternamente crudele.

In questa storia l’attrice premio Oscar® Frances McDormand dà vita alla variante femminile di un moderno eroe western, con una performance che evoca le suggestioni di una resa dei conti. “Mi sono ispirata a John Wayne perché non c’erano modelli femminili analoghi su cui basarmi per creare Mildred”, spiega l’attrice. “La protagonista assomiglia all’uomo misterioso della tradizione degli spaghetti western, il pistolero che arriva al centro della strada con le pistole in mano e che lascia tutti senza parole. Mildred però non ha nessuna pistola. È armata solo della sua intelligenza e di una Molotov”.

Mildred, protagonista del film, è un personaggio implacabile, una donna che soffre e che senza rimorsi decide di mettere alla prova tutta la sua città. Un film molto bello, riuscito, che appassiona e fa partecipi. E la rabbia è accolta anche dallo spettatore, coinvolto da ciò che accade sullo schermo. La fa sua. Questa « giusta » rabbia. Ma la rabbia, dopo tante aggressioni, tanti incendi, tanti feriti e la morte dello stimato capo della polizia, come ogni fiume in piena, poi si placa. Magari colpendo un altro colpevole di stupro, così per sfogarsi…

 

Loving Pablo, R. Fernando Leon De Aranoa, Biennale Venezia, FUORI CONCORSO

Sinossi: LOVING PABLO è la cronoca dell’ascesa e della caduta del più temuto re della droga, Pablo Escobar e della sua volatile «cotta » con Virginia Vallejo, una delle più famose giornaliste televisive della Colombia. Ed è la cronaca del regno di terrore che ha creato uno strappo terribile nella nazione. Filmato interamente in Colombia è una ricostruzione molto vicina alla realtà che questa nazione dovette subire da questo ennesimo esemplare di Hitler: Pablo Escobar

Pablo Escobar ha segnato indelebilmente la storia del crimine del suo paese per 20 anni, da fine anni ‘70 in avanti. Con un patrimonio stimato a 55 miliardi di $ al valore attuale era uno degli uomini più ricchi del pianeta nel corso del suo « regno » di re della cocaina. Grazie ai soldi e al suo carisma, la sua popolarità contagiosa del tipo togliere ai potenti per dare ai poveri, riesce persino a candidarsi ed essere eletto, per breve tempo, nella sua patria, la Colombia.

Con il suo famoso cartello di Medellin, inonda gli USA di cocaina, almeno l’80% del traffico era dominato da questo cartello. Riesce, per 20 anni, a mettere in stato di guerra il suo paese e diventa il fuggiasco più ricercato della Colombia.
Il suo approccio spietato condurrà alla morte di più di 3000 persone. Moltissimi giovani che formava e trasformava in suoi « soldati » pronti a sacrificarsi.

Un film che inizia con lusso, musica spensierata, lo sbocciare di un amore con la giornalista televisiva. Ma anche sull’infedeltà alla moglie. Sulla sua borghese idea di famiglia ideale, ben lontana dalla realtà nella quale la faceva vivere.
Molta azione, molti paesaggi bellissimi, molte strage di innocenti.

Un attore, Javier Bardem, trasformato in un grassone con i capelli crespi. Naviga nella sua piscina come un ippopotamo, suo animale prediletto. Eppure lo amano e lo desiderano. Regali preziosissimi che trasformano donne intelligenti in stupide arriviste. Minacce, botte e uccisioni che trasformano chi è con la legge in nemici da eliminare.

Un film che piacerà a chi ama le storie d’amore maledette e i sogni di grandezza di chi nasce da una famiglia di contadini e diventa ricchissimo. Per poi cadere, inevitabilmente, molto, molto, molto in basso. Fino a morire ucciso dalla polizia nel 1993. Naturalmente.

 

BRAWL IN CELL BLOCK 99 di S. CRAIG ZAHLER. Biennale Venezia, FUORI CONCORSO

E qui siamo nelle celle degli USA. Torture, violenza, omicidi impuniti e vendette programmate. E, la cosa terribile, è che ci si lascia prendere dalla storia come se fosse verosimile. Gli USA, visti come diavoli in terra, si lasciano rappresentare dai registi americani proprio come le peggiori fantasie sul loro strapotere ispirano. E, sembra tutto reale e possibile. Abu Grahib, la famosa prigione delle torture in Irak, insegna e ispira.

Ma qui, è un film e si cerca di superare la realtà. Così le teste dei contendenti vengono tutte spappolate e esplorate per noi dalla cinepresa per non farci perdere nemmeno un attimo di orrore. Piacerà a chi ama farsi giustizia da soli. Carneficine che solleticano fantasie di frustrati. O di quelli abituati ai giochi virtuali più spietati.
Oh si, di gente così, ce n’è. E questo film gli piacerà.

Desio Rivera