Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

L’élite statunitense ha riconosciuto le proprie responsabilità per l’elezione di Trump. In un abbaglio autoreferenziale ha creduto che gli USA fossero costituiti dagli agglomerati urbani della East e West Coast, dove si concentrano i poteri economici, culturali e mediatici. All’esasperata ricerca di ogni più piccola e strana discriminazione da stigmatizzare e combattere non si è accorta di discriminare pesantemente il Midwest e il profondo Sud, le zone rurali e le città impoverite dalla crisi manifatturiera e dalle delocalizzazioni.

Questa riflessione, fatte le debite proporzioni, mi è tornata alla mente leggendo l’invito al Forum per il dialogo tra la Svizzera e l’Italia tenutosi a Lugano il 9 e 10 ottobre scorsi. Intendiamoci, benvenuti i dialoghi, servono a capirsi, aprono canali di comunicazione, permettono di stabilire utilissimi rapporti personali e magari di raccomandarsi anche a Sant’Angelino. Se non erro, poi, parecchi anni fa l’idea di questi incontri fu di un nostro ambasciatore a Roma preoccupato di stemperare certe tensioni istituzionali originate tra l’altro anche dallo stizzoso ministro Tremonti, quello che con intenti punitivi proclamava la volontà di prosciugare le banche di Lugano.

I tempi sono cambiati, in Italia si sono succeduti – ho perso la conta – quattro o cinque Governi e relativi presidenti del Consiglio. L’Italia di oggi è più fragilizzata e deve fare i conti con un movimento antisistema dal largo seguito che aspira ad arrivare al potere.

All’irrigidimento istituzionale di allora si è sostituito un innegabile senso di disagio da noi in Ticino su temi specifici, anche modesti ma che interferiscono con la vita e la quotidianità della popolazione. La lista è lunga. L’accordo di collaborazione tra le due polizie è bloccato da tempo da parte italiana per problemi relativi alle munizioni in uso e per cavilli burocratici in uso. Sul fronte del disbrigo delle pratiche doganali commerciali sono state tolte deleghe agli svizzeri rallentando le procedure. Piccoli trascurabili dettagli, mi direte voi. Non così piccoli e ancor meno trascurabili quando leggiamo che il sindaco di Seregno è incriminato per collusione con la mafia, confermando l’infiltrazione del Nord Italia nota da qualche anno. Mafia interessata ad avere antenne e teste di ponte nel grasso territorio ticinese. Vediamo di superare urgentemente divergenze e impuntature burocratiche per un più efficiente lavoro comune su un terreno tanto delicato e pericoloso. Oltretutto, vista sotto questa luce, la richiesta dell’estratto del casellario giudiziario da parte dell’autorità ticinese era una norma dal valore unicamente vessatorio?

Altro modesto problema. La ferrovia Stabio-Varese non è vero che terminerà, con due anni di ritardo da parte italiana, a fine 2017. Infatti, già oggi si sa che mancheranno pensiline, parcheggi e altro per permettere una completa agibilità. Non solo, ma pare che su problemi di tratta e orari da parte italiana si sia mutato parere frustrando le aspettative del Mendrisiotto che si ripromette un qualche sollievo dal traffico automobilistico asfissiante. Corrisponde al vero?
Chissà se il tema, forse modesto ma di estrema importanza per una zona ticinese, è stato trattato nel gruppo di lavoro dedicato ai trasporti, come pure se dopo anni finalmente i 280 milioni della Confederazione svizzera verranno utilizzati come convenuto per la correzione dei profili delle gallerie tra Chiasso e Milano.

Cosa voglio dire con questi fatti e i molti altri che conosciamo? È che oggigiorno i dialoghi non devono essere orientati solo su temi sui quali tutti possiamo essere d’accordo. I tempi sono cambiati, esistono disagi a livello di popolazione che possono anche venir artificialmente gonfiati, ma che vanno discussi e analizzati se non vogliamo che degenerino. Discussi non solo tra le élite, ma con chi ha titolo per rappresentare correnti del malcontento.

Tale richiesta è in consonanza con la moderna dottrina (vedi Pierre Rosanvallon in Le bon gouvernement) che ci insegna che siamo alla fase della democrazia partecipativa, essendosi esaurite le fasi parlamentare e governativa.
Può essere ingiustificato il dubbio che da parte italiana si trascinino le trattative, si aggiungano sempre nuove pretese, si rivenga su promesse fatte e proposte (come per la possibilità per le banche svizzere di operare in Italia), ma non bastano belle parole e dichiarazioni d’intenti. Vorremmo capire, comprendere anche le eventuali molto probabili deficienze svizzere dinanzi a negoziatori italiani molto più abili.

I problemi non si risolvono elegantemente ignorandoli, anzi rischiano di degenerare e di favorire chi ne sa approfittare. Tutti ammiriamo la grazia, l’eleganza, l’armonia del valzer viennese. Ma oggi viviamo in tempi di rock.

Tito Tettamanti