Ripreso da Opinione liberale, con il consenso della testata

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È ben possibile che la nostra opinione non sia richiesta, ma ci permettiamo ugualmente di dire che ammiriamo l’equilibrato realismo di questo articolo. Non sarà “politicamente corretto” al 100%, farà forse arricciare qualche naso nei più eleganti salotti radicalchic ma… … accettiamo di pagare questo prezzo! (fdm)

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Il  commento di Alessandro Speziali del 22 settembre – «Il timore di ammettere la paura. A sinistra, ma non solo» – ha suscitato le reazioni di Giacomo Garzoli, Virgilio Pellandini e Giorgio Zürcher pubblicate sui numeri del 29 settembre e del 13 ottobre. Oggi Speziali replica alle obiezioni che gli sono state rivolte, precisando e affinando il suo pensiero

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L’articolo «Il timore di ammettere la paura» – apparso lo scorso 29 ottobre – ha finalmente agitato le pagine di questo settimanale, spingendo alcuni liberali radicali a esprimersi sulle reazioni suscitate dai recenti flussi migratori verso l’Europa.

Senza alcuna pusillanime ritrattazione, sono davvero convinto che l’approccio timoroso, prevenuto e derisorio sul tema dell’immigrazione abbia giustamente spinto le socialdemocrazie europee al capolinea, politico e narrativo. Sono altrettanto certo che le forze liberali e borghesi – se non vogliono condannarsi all’irrilevanza – devono quanto prima vincere la loro ritrosia e rioccupare territori politici cruciali che finora sono stati abbandonati alle destre radicali, e da queste abilmente coltivati. Se non accetteremo questa sfida, noi e solo noi saremo gli artefici della scivolata della questione immigratoria da tema essenziale per il bene comune a monopolio ideologico dei nazionalismi violenti. I liberali – ovunque – devono affrontare il tema scrostandosi pudori e timori, altrimenti si ritaglieranno da soli un ruolo da comparsa e la fama di «zelante contabile del governo».

Ciò detto, sono felice di precisare e affinare il mio pensiero grazie alle obiezioni che mi sono state rivolte. Alcune mi hanno interrogato, non poco, ma devo essere franco: altre mi hanno provocato abbondanti affioramenti di latte alle ginocchia.

Obiezione 1

L’articolo è vago perché non contiene elementi quantitativi e, peggio, esprime solo ovvietà: si limita infatti a rifiutare tanto il siluramento dei barconi quanto le frontiere spalancate.

Nel PLR non ho mai assistito a un vero confronto sull’immigrazione. Perciò sono rimasto sul piano generale, definendo i limiti del terreno sul quale si gioca la battaglia. Diciamo «no» a chi vorrebbe bruciare ogni eritreo che vede per strada e «no» a chi chiede di accogliere un profugo in ogni casa ticinese. Ovvietà? Può darsi, ma perlomeno ora abbiamo il compito di trovare la nostra posizione all’interno di questo intervallo ideologico.

E’ vero, non ho fornito proposte quantitative. Al di là del fatto che perfino chi punta il dito contro di me si guarda bene dal provarci, nel mio articolo non sono rimasto su un piano del tutto neutro, affermando per esempio che non dobbiamo avere paura a considerare l’immigrazione come un problema in termini di sicurezza, convivenza culturale, pace sociale, disoccupazione e welfare. Non mi sembra un’affermazione scontata nella galassia liberale. Sulla questione tornerò presto, anche per approfondire la presunta divaricazione fra percezioni e dati oggettivi.

Obiezione 2

La soluzione non è cavalcare le paure, e questo articolo conduce pericolosamente a legittimare i razzisti.

Spiegare non è giustificare, e parlare dei timori non equivale ad aizzarli. Riconoscere che qualcosa sta succedendo nelle periferie di tutta Europa, che frizioni culturali e sociali si stanno manifestando spesso in modo esplosivo – senza colpevolizzare meccanicamente la società occidentale –, non è ideologia: è onestà. E’ ideologico invece glorificare l’immigrazione da un punto di vista economicistico e invocare a ogni piè sospinto tradizioni umanitarie, negando i risvolti negativi e pericolosi di un’immigrazione che in Europa – almeno questo me lo concederete tutti – si sta rivelando un fenomeno come minimo di difficile gestione.

Dopodiché, Virgilio Pellandini, permettimi un appunto. Non mi sono scagliato contro gli «spalancatori di frontiere» – oggi definitivamente sconfitti dalla Storia – ma contro la rimozione del tema dell’immigrazione dal dibattito interno. Scagliarsi contro questo silenzio, anestetizzante e autolesionista, non implica in nessun modo giustificare «le bestie che vogliono silurare i barconi»: rivolgermi questa accusa, anche solo velatamente, significa farneticare.

Obiezione 3

Le paure di cui parla l’articolo nascondono un egoismo di fondo, nelle destre e non solo.

La dignità umana è una questione pratica, perché si avvera non nel mondo che vorrei, ma laddove lo Stato o una comunità sono in grado di tutelarla. In molte città europee, i fenomeni migratori stanno creando periferie in balia di sé stesse e di leggi che non sono più le nostre. Luoghi dove lo Stato di diritto, patrimonio del pensiero liberale, è letteralmente morto. E’ chiaro che questo trend non è ancora percepibile fra Maggia e Moghegno. Ma cosa dire della Kleine Instanbul a Colonia, del quartiere milanese di Quarto Oggiaro, del Molenbeek a Bruxelles o del Sevran accanto a Parigi? Ormai non fanno nemmeno più notizia le Sharia controlled zone inglesi.

La paura cresce quando non si vieta ai salafiti di distribuire il Corano per strada. La paura cresce quando sei un pensionato in un quartiere dimenticato dalle forze dell’ordine e dove gli squatter decidono quale appartamento possono occupare. La paura cresce quando una risibile visione laicista porta ad emendare o cancellare le tradizioni cristiane nelle scuole, e quando alcuni gruppi sociali colonizzano parti di territorio con usi e costumi impermeabili e autoreferenziali. La paura cresce quando le autorità tentennano a chiudere una moschea sospetta, e quando qualcuno sorride all’idea di bloccare ombrosi finanziamenti internazionali ai luoghi di culto. La paura cresce di fronte a questi fatti reali, che avvengono anche in Svizzera. E brandire l’accusa di egoismo (o, peggio, di razzismo) contro chi si dice seriamente preoccupato è intellettualmente arrogante e politicamente suicidario.

I partiti storici devono affrontare seriamente le questioni di società, senza rifugiarsi nella demonizzazione delle percezioni e nell’individuazione selettiva di cifre confortanti. Non si tratta di tornaconti elettorali, ma del tentativo di proteggere la nostra coesione sociale

Obiezione 4

La narrativa della sovranità, dell’ordine, delle regole e dell’identità è l’anticamera di svolte autoritarie.

Come mai fatichiamo tanto ad ammettere che alcuni concetti dei quali le destre si sono impossessate possano essere declinati  anche in positivo?

  • Sovranità: meno uno Stato è sovrano, più la democrazia si dilata da diretta a rappresentativa. Per poi svuotarsi (come nell’UE).
  • Regole: essenza di qualsiasi sistema giuridico e collettività.
  • Ordine: rispetto delle leggi e di determinate consuetudini. E’ una cornice al cui interno si producono comportamenti individuali e collettivi.
  • Identità: sentimento ancestrale, evolutivo, affettivo, collettivo e individuale, emotivo e razionale (ci tornerò su queste colonne).

E’ davvero un peccato che il solo sentire pronunciare queste parole (soprattutto la tenebrosa «identità») faccia impennare il battito cardiaco dell’amico Giacomo Garzoli, inducendolo a immediate relativizzazioni, fino all’inevitabile agitazione degli spettri di Auschwitz. Definire automaticamente «anticamera del fascismo» concetti di questo tipo – indipendentemente dalla loro cornice – è scorretto e banalizzante. Il culmine lo ha comunque raggiunto Giorgio Zürcher (un vero custode dell’anima del liberalismo), con la sua caricaturale antitesi fra democratici e tiranni che mi vede ovviamente categorizzato a fianco dell’Erdogan di turno. Ma LOL, come dicono i giovani.

Epilogo

Cari Virgilio, Giacomo e Giorgio,

il mio articolo lanciava un avvertimento: i cittadini continueranno a premiare le destre antagoniste, se non assisteranno a un dibattito sui fenomeni migratori fra le forze liberali e borghesi – un dibattito franco, realista e con un tocco della narrativa alla quale ho accennato, che produca indirizzi generali e poi proposte concrete.

Non possiamo continuare a ignorare le paure dei cittadini, pretendendo di somministrare loro una visione ottimistica e «ortopedizzata» della realtà, solo perché abbiamo paura che agire diversamente «farebbe il gioco delle destre». Smettiamola di considerarci insegnanti di ginnastica correttiva politica, e torniamo a essere davvero in ascolto della popolazione. I partiti storici devono affrontare seriamente le questioni di società, senza rifugiarsi nella demonizzazione delle percezioni e nell’individuazione selettiva di cifre confortanti. Non si tratta di tornaconti elettorali, ma del tentativo di proteggere la nostra coesione sociale.

Nel solco della tradizione della politica elvetica, sono convinto che debbano essere le forze migliori a indicare la via per resistere alla tempesta che ci sta investendo, e sono altrettanto sicuro che un nostro disimpegno, al contrario, lascerà il Paese nelle mani dei peggiori.

Alessandro Speziali