Pubblicato sul CdT come Opinione e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

È stata recentemente inaugurata al Max Museo a Chiasso un’esposizione su Oliviero Toscani. La prima mostra antologica su cinquant’anni di attività del conosciutissimo fotografo milanese. Non so quanto tutto ciò possa aiutare il comune cittadino a capire quello che è stato Toscani a livello mondiale nel campo della comunicazione visiva negli ultimi due decenni del Novecento. Io, maggiore di lui solo di un anno, ho avuto l’occasione di conoscerlo a Zurigo quando all’inizio degli anni Sessanta frequentava la Kunstgewerbeschule di quella città. Anche per questo, oltre che per una certa «vicinanza» professionale, vorrei tentare di spiegare questo fenomeno. Altri già ci pensano, anche abbondantemente, a celebrare l’uomo-mito.

Mi è stato riferito che a Chiasso, il giorno dell’inaugurazione della mostra, non solo gli spazi del «polo culturale», ma pure le strade adiacenti erano invase da una folla (di polli?) in trepida attesa del grande evento. Manco fosse giunta quel giorno nella cittadina di confine una Madonna: pellegrina, lacrimante o rock. O che, in quella tiepida domenica pomeriggio dello scorso 8 ottobre, si fosse improvvisamente ritornati ai tempi gloriosi di Riva IV al Comacini. Oliviero Toscani è sicuramente un ottimo fotografo, soprattutto per una solida base professionale acquisita attraverso il classico binomio – teoria e pratica – che soggiace alla tradizionale formazione svizzera «Arte e Mestieri».

Ma di fotografi al suo livello ce ne sono almeno alcune centinaia, se non addirittura migliaia, a livello mondiale. E allora come si giustificherebbe questo suo grande successo? Toscani ha innanzi tutto avuto la fortuna di nascere e di crescere a Milano (una metropoli soprattutto in quegli anni al centro del made in Italy: design, moda, massmedia) ma pure in una famiglia (non solo il padre e la sorella, ma anche un cognato, Aldo Ballo) di fotografi professionisti. Poi, Oliviero, è per genoma, cromosomi, o cos’altro preferite, una forza della natura: molto prolifico e dirompente. E da tipico milanese – «cunt ul cör in man»– un po’ anche «ganasa» e guascone. Furbescamente anche provocatorio e contradditorio, non per nulla è amico e sodale di Vittorio Sgarbi. Ma pure businessman. Già quando a vent’anni si trovava a Zurigo riusciva a guadagnare sonanti franchetti facendo nel tempo libero foto su commissione. Anch’io gli feci fare alcuni miei ritratti in bianco e nero (ne conservo ancora un paio) per quasi un decimo di quello ch’era il mio stipendio mensile di allora. Ogni fine settimana poi rientrava a Milano, nella bella stagione soprattutto con una moto di grossa cilindrata, per realizzare anche di domenica qualche lavoretto.

All’Odeon, intorno a un tavolino di marmo, intorno al quale s’era forse seduto anni prima Lenin, ricordo di animate discussioni sulla politica italiana di quel tempo. Lui era per i socialisti, non ricordo se per quelli di Nenni o di Saragat, che comunque contavano allora, anche se messi insieme, come il due di picche. Poi però, negli anni Settanta, quando Toscani, dopo aver vinto alcuni concorsi cominciò a ricevere prestigiosi mandati dalle più importanti riviste di moda americane e francesi, arrivò Craxi, e con lui la «Milano da bere». Certe sere a Zurigo ci si trovava a frequentare insieme le lezioni di calligrafia di Hans Eduard Meier. Per questo, abbiamo forse in comune, oltre alle iniziali e finali «palle» dei nostri nomi, anche la passione e l’amore per l’analogico.

Il gran salto però, il «nostro», lo fece intorno al 1980, e durò per quasi un ventennio. Quando incontrò l’imprenditore Luciano Benetton fu amore a prima vista. Luciano concesse a Oliviero carta bianca, e Toscani, con il suo fiuto e la sua intelligenza, – «né troppa, né troppo poca» – come direbbe ancor meglio in dialetto Piergiorgio Baroni, non ci pensò su due volte. E cavalcò per benino durante molti anni la cavallina (di cavalli oggi Toscani ne possiede addirittura una scuderia in Maremma). Ma siccome anche i matrimoni più felici, un giorno a volte, come i sogni muoiono; non solo all’alba, ma anche al tramonto. Mi è recentissimamente stato riferito che starebbe avvenendo un riavvicinamento della già fortunata coppia. Mi chiedo però cosa tra i due potrebbe rinascere. Forse qualche nostalgico, languido sguardo da gerontocomio? Certo, almeno Toscani mi sembra conservare ancora una certa vivacità fisica e una discreta combattività dialettica. L’ho sentito (in streaming), durante la sua straripante fiumana affabulatoria, mandare in tilt in «Millevoci» (RSI 1, giovedì 26 ottobre) i pur volonterosi Sarah Tognola e Antonio Bolzani.

La questione centrale oggi è però a sapere se Oliviero, per la prima volta in vita sua, non stia diventando a sua volta vittima di quel (perverso?) «gioco» mediatico, basato oltre che sull’effetto sorpresa anche sulla provocazione, che tanti anni fa fu lui tra i primi a lanciare. Ricordo quando, nella prima metà Novanta, a Parigi facevo parte, quale rappresentante della Svizzera, di una giuria internazionale. Si dovevano scegliere i migliori manifesti a livello europeo, già precedentemente selezionati nei loro Paesi di provenienza. E il «problema» (assurdo) era quello di riuscire a non premiare per l’ennesima volta un lavoro di Toscani. Un cartellone, il suo, che come sempre si profilava al di sopra di un’affollata, anonima, piatta e scontata pubblicità da marketing d’agenzia, costruita solo su banali archetipi. Oggi, che anche il mondo dell’immagine si è radicalmente trasformato attraverso la digitalizzazione, Toscani è diventato una star mediatica, buona per tutti i salotti.

Di questo genere di personaggi ne abbiamo qualche esempio abbastanza vistoso anche in casa nostra. Oliviero viene invitato nei talk show di mezzo mondo televisivo. Mondo che Toscani non manca, contradditoriamente, di pubblicamente detestare. Ma siccome il circo mediatico (perlomeno quello cartaceo, ora alla canna del gas) ha continuamente bisogno, per non soccombere, anche di clown, nani, faccendieri, prestigiatori, ballerine. Oggi la fotografia – anche dei genitali, propri e altrui! – se la possono fare tutti, e diffondere gratuitamente, all’istante, e nel mondo intero. Non, come fino a ieri, quando ciò era concesso solo ai più grandi egocentrici narcisi! Certo, per un professionista servono pochi scatti per ottenere una buona fotografia, mentre per i fotografi da selfie… Ma oggi la qualità non conta più nulla. A contare rimane solo la superficialità dell’effimero realizzato al minor costo e nel minor tempo possibile: immagini che come si producono sono già superate. Andate a leggere certe pagine sulla fotografia di un Roland Barthes o di una Susan Sontag! Mi chiedo se sia per aver catturato, «rubato» nel passato l’anima anche ai condannati a morte, che oggi Toscani stia diventando un mecenate da pentimento; magari anche per non aver più lavoro come fotografo. Anche se, naturalmente, per non perdere il vizio «d’épater les bourgeois» (borghesia: «razza» inestinguibile!), Oliviero si mette ora a fotografare in piazza, sbattendoli quasi a forza davanti a un telo, sprovveduti e ingenui anonimi passanti. Ultima mossa da «gran piazzista»? E come penitenza, per ottenere il generale perdono, offra poi loro, con i suoi scatti, quei «quindici minuti di notorietà» (Warhol Andy) che non si possono in fondo mai negare a nessuno.

Orio Galli