Pubblicato come Opinione dal CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

«“No Billag”: si cambi quel disco». Così titolava il suo editoriale sul «Corriere del Ticino» di ieri il giornalista Giovanni Galli, che non è mio parente (e che nemmeno conosco) anche se porta lo stesso nome di mio figlio.

«No Billag»: un titolo infelice per un’iniziativa ancor più infelice. Soprattutto perché radicale, estrema: o tutto o (quasi) niente. Anche perché, in caso di accettazione, l’iniziativa porterebbe allo smantellamento di un ente di servizio pubblico com’è la SSR e, più vicina a noi, la RSI. Perciò sarà bene non scherzare col fuoco, anche se a Comano ci son tanti pompieri. Ma soprattutto 1.000–1.200 persone, con le rispettive famiglie da mantenere, e tanto indotto da preservare. Considerando poi che di questi tempi 200 e passa milioni che giungono nella Svizzera italiana grazie al federalismo non son proprio noccioline.

Non si riscopra però oggi il federalismo per pararsi opportunisticamente le chiappe (Tito Tettamanti, CdT del 20 ottobre scorso). Chi è stato per esempio a smantellare a suo tempo il Telegiornale centralizzato a livello nazionale a Zurigo, allora egregiamente diretto da Dario Robbiani? Non era forse questo un ottimo esempio concreto di federalismo? Ottenuto tra l’altro con limitate risorse umane e finanziarie.

Non so come andrà a finire con la votazione del prossimo 4 marzo. Comunque vada, mai come in questo caso, i voti, oltre che contati, andrebbero secondo me analizzati, studiati, indagati, soppesati. Cercando di scoprirvi anche le più diverse, più o meno confessabili, motivazioni. Non passa giorno che non si tengano conferenze, dibattiti, simposi sulla galoppante digitalizzazione. Spero solo che almeno i cervelli di alcune persone rimangano analogici, anche se magari poco logici.

Il sistema massmediatico è in continua rapidissima sconvolgente evoluzione (o involuzione, fate voi). Comunque i giovani, anche delle scuole superiori e pure molti laureati, non leggono quasi più i giornali, che sono ormai alla canna del gas. E intanto la SSR toglie anche le ultime boccate d’ossigeno, della magra pubblicità rimasta, alla carta stampata. Ah, il pluralismo della democrazia!

Sarà bene perciò chiarirci le idee su cosa si intenda oggi per “servizio pubblico”. In questo caso quello radiotelevisivo, e oggi pure del web, di una SSR quasi monopolistica, che oltretutto si vanta di permettere (concedere generosa–mente), grazie alla sua esistenza, alcune briciole ai privati.

E ciò quando poi le nuove generazioni ritengono addirittura scontato che il prodotto comunicazione non debba essere pagato***, remunerato, risarcito! Ma scherziamo? Intanto nel nostro cantone vengono foraggiate scuole (USI, SUPSI, CSIA) che sfornano in continuazione anche dei professionisti che non troveranno mai un lavoro nel privato degnamente retribuito. A meno di diventare a loro volta insegnanti in scuole pubbliche o in enti statali o parastatali. Ma che bellezza, in un’economia di libero mercato. Ci sono beni/servizi che, per loro natura – in una terra non infinita (anche se qualcuno pare non essersene ancora accorto) – dovrebbero comunque venir essenzialmente gestiti dal pubblico o, perlomeno, dal parapubblico. Almeno per quelle che sono le necessità primarie della popolazione: acqua, elettricità/energia, mezzi di trasporto e vie di comunicazione, educazione scolastica e formazione professionale di base, socialità a sostegno dei più deboli e sfortunati, salute e sanità dalla culla alla tomba (non me ne vogliano i privati becchini, ma un minimo di servizio pubblico anche per i morti, secondo me non guasterebbe). Ma per l’informazione ai vivi, senza contare tutto il resto, come vorremmo, in prospettiva, metterla? Questo, e altro, a una prossima puntata.

Orio Galli

*** (fdm) Se io – governo, maggioranza politica, potentato, lobby – faccio informazione per i miei fini… debbo anche farmi pagare? Ho detto la mia.