In questi giorni si parla dello scrittore Plinio Martini, autore de “Il fondo del sacco”. In particolare se n’è parlato nel corso di una recente serata tenuta alla Biblioteca Cantonale di Lugano (alla quale purtroppo Ticinolive non ha potuto partecipare).

Questa lettera (che non conoscevamo) – colta, amara, orgogliosa, sprezzante, offesa e offensiva – è un documento di grande interesse e oggi lo proponiamo ai nostri lettori. Per comprenderne il senso bisogna sapere che Plinio Martini – di famiglia cattolica e quindi “conservatore” – nel fatale 1969 aveva aderito al PSA, il Partito Socialista Autonomo, rivoluzionario, addirittura come co-fondatore.

Sappiamo tutti, almeno noi “giornalisti” di mezza età, che cosa furono quelli anni (i giovani no, solo per sentito dire, e senza interesse). Plinio Martini, che non abbiamo mai conosciuto, doveva essere un tipo pepato. Un caratterino!

PS. Si noti verso la fine della lunga lettera il termine grossolanamente offensivo di “fascista”, del quale si abusa ancor oggi, che avrà fatto fremere di piacere i suoi “compagni”.

Particolare assai divertente. Subito dopo Martini si esibisce nel motto: “me ne frego”, tipicamente fascista. Gli sarà scappata!

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PLINIO MARTINI
LETTERA A UN PARROCO
(ORA VESCOVO***)

*** S’intenda, al momento della pubblicazione della lettera, 32 anni dopo

dal sito www.rodoni.ch

Per Don XY
Moghegno
7 febbraio 1976

Durante i funerali di nostro padre, Lei, che non l’ha conosciuto, ne ha inventato un ritratto apologetico: un elogio dozzinale dove anche il nome di Adeodato, non so se per ignoranza del latino o per l’abitudine di far dire al latino della Vulgata ciò che Gesù non ha detto mai, ha assunto un diverso significato etimologico: “dato a Dio”. Dove il bel mestiere che nostro padre fece per circa sessant ‘anni, sfornando il pane più onesto del mondo, è stato così maldestramente esaltato, da mettere in imbarazzo gli altri presenti alla funzione, figli magari di lavoratori costretti a più banali attività, come pulir cessi e vecchi d’ospizio, tagliar pietre, portar casse di birra o da morto. L’impostazione del panegirico, sgradito ai miei fratelli e a me, che siamo abituati da un’austerità ancestrale a meno enfatiche meditazioni, era poi un ‘elementare scimmiottatura dei retori della Controriforma: promozione iniziale degli affetti, delle facili commozioni che possono nascere davanti a una bara, in preparazione dell’abile stoccata finale, quella che lascia senza fiato. La stangata era per me: il “qualcuno” della famiglia che ora, finalmente!, ha un valido assistente in cielo per aiutarlo a ritornare all’ovile, a credere ancora, come Lei ha detto, che la vita non finisce qui, e quindi a ricorrere ancora, come una volta, con onestissima e minchiona e tante volte delusa fiducia, alla bontà dei preti, alla loro assistenza, ai loro consigli paterni: visto che della paura della morte i preti hanno fatto un’industria di potere. Se le banche e i negozi in certe occasioni sentono il dovere di “chiudere per lutto”, ci si potrebbe almeno aspettare che anche i preti, davanti a una bara, rinuncino alle ambizioni oratorie, alla smania del fervorino propagandistico, nonché ai gigioneschi compiacimenti canori, per far posto al silenzio: che sarebbe il modo migliore di rispettare il defunto, e ancor più i vivi che lo accompagnano addolorati all’ultima dimora. Non ha mai dovuto affrontare, Lei, quel distacco come il figlio fratello o amico, da non conoscere, quali lunghi pensieri e malinconici affetti visitano la mente di un uomo che cammina infila tra i parenti, e si siede in una panca in chiesa, aspettando la fine dell’interminabile e inutile cerimonia, infastidito dalle grida sgraziate dei chierici e dei fedeli? E poi è venuto, per me, il non richiesto sermone, e, alla fine di quello, un’immeritata e canagliesca offesa. Perché in mezzo a quella buona gente cattolica, e con le calcolate premesse e le lodi smancerose ai genitore, la Sua era una vera offesa per il figlio degenere, il figlio che ha perduto la fedè ed è uscito dall’ovile: la qual cosa, per i buoni montanari dalla fede granitica trai quali vivo, è una colpa. Non mi dica che Lei non ha fatto nomi. Era esattamente come se avesse pronunciato il mio, e tutto il paese, presente alla funzione, quel nome l’ha pensato: in questo momento ne parlano nelle cucine e nelle osterie di Cavergno. Se era questo che Lei voleva, sempre con la lodevole intenzione sacerdotale di convertire al bene, di separare dal buon gregge ignorante e credulone la pietra di scandalo, il satanico marxista, Lei ci è riuscito. Ora: che ne sa Lei del tormento di un uomo, il quale non era grosso e coticato come Lei da poter vantare una fede senza dubbi – sono parole Sue e capisco: “il dubbio, l’inerzia ci offende” – e che sprecato gli anni migliori, quelli più produttivi, sui testi della Bibbia, sui manuali del Bartmann, sui vecchi libri di tutti i maggiori padri della Chiesa, da San Clemente Romano agli ultimi e poco sicuri teologi, alla ricerca della Verità, per l’angoscioso bisogno di rispondere alle contraddizioni che il medioevale castello della teologia scolastica suscita nella mente di un non distratto lettore moderno? E che ne sa del dolore di un figlio, che era anche padre e cittadino, e che a un certo momento, dopo esitazioni e rinvii, e finale pellegrinaggio a Lourdes per ritrovare la fede, ha dovuto fare una scelta che lo metteva contro la sua gente e i suoi famigliari, per onesta coerenza, e anche perché amava più i poveri che il potere di far loro la carità: scelta che nel contempo gli chiudeva qualsiasi possibilità di carriera? E, anche se Lei sapesse esattamente ciò che io credo e non credo, chi Le dà il diritto di giudicare, e soprattutto di segnalarmi in quel modo perfido e vilipendioso davanti alla mia gente, in mezzo alla quale io voglio poter continuare a vivere; gente che io posso ancora amare anche se voi, preti, l’avete abituata ad accettare acriticamente la vostra parola come se fosse quella autentica di Dio? E come mai un uomo di cultura quale Lei dovrebbe essere, visto che ha insegnato in liceo, poteva permettersi di trattare così, dall’alto al basso, l’autore di “Il fondo del sacco”, libro che è almeno una testimonianza di amore e di stima per la fatica e le sofferenze di quel popolo che le stava davanti? Dove io ho anche regalato a mio padre il più affettuoso e rispettoso ritratto che un padre possa sperare da suo figlio? Questo, semmai, Lei poteva ricordare dal pulpito! Lei non ha sbagliato soltanto come cristiano e come sacerdote cattolico. Lei ha sbagliato come uomo, dimostrando, Lei che educa, che predica, che si ascolta parlare alla televisione, di essere un maleducato di prima forza. E fascista anche, se è vero che il fascismo è prima di tutto mancanza di rispetto per le opinioni altrui, e tentazione di imporre, agli, altri, con la violenza, la propria dottrina. O che non è violenza il fatto di parlare dal pulpito, con l’autorità di chi non può sbagliare (così, nei nostri paesi, sono ancora guardati i preti dalla maggior parte della gente, giovani esclusi), e senza concedere all’accusato di turno il diritto di una difesa? Non voglio rettifiche e riparazioni: me ne frego.

Mi basta che non venga a saperlo mia madre, così dolorosamente provata, in tre mesi, dalla morte di un figlio e dello sposo che amava; la quale per fortuna non era presente: ma Lei, buon pastore di anime, questo particolare non lo sapeva! Lei ha rotto le uova: si mangi la frittata che ne viene.

(Firma)  Plinio Martini

Copia al vescovo, e, visto che l’offesa è stata pubblica, a tutti quelli cui mi sembrerà opportuno mandarla, e magari anche alla stampa.