Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

La scorsa settimana un bancario svizzero è stato prosciolto da un tribunale di New York dalle solite accuse americane di aver violato la legge aiutando cittadini statunitensi ad evadere il fisco.

Tra i tanti premi distribuiti in Svizzera ne propongo uno al coraggio a questo giovane che ha preso il rischio di buscarsi cinque anni di prigione negli Stati Uniti, ma ha saputo combattere a testa alta e ha addirittura difeso indirettamente tutti i suoi colleghi. La sentenza è stata accolta con molto sollievo nei circoli finanziari svizzeri e ha indotto anche a qualche considerazione. Tipo quelle fatte da eminenti professori svizzeri di diritto che hanno deplorato la pavidità delle nostre autorità pronte a genuflettersi ad ogni richiesta dall’estero.

Tra l’altro, chi conosce bene l’America, sa che bisogna fare una differenza tra le autorità amministrative ed i tribunali. Per le autorità amministrative, vedi il Dipartimento di giustizia americano, le accuse non si basano su argomenti di puro diritto e non esistono chiare regolamentazioni che assicurino la massima garanzia procedurale. Quello che conta è la forza negoziale. O paghi la multa che io ritengo dovuta o con la mia procedura ti rovino e ciò vale anche per le ditte americane.

L’accusato purtroppo quasi sempre non ha scelta e cede, si stipula una convenzione segreta – quindi non si saprà mai quali siano le vere colpe – e si paga. Un problema di soldi, poi tutto è finito. Salvo che il sottoporsi a questo gioco su pressione delle nostre timorose e diligenti autorità è costato a 79 banche svizzere contro le quali non esisteva un’accusa formale 1,4 miliardi di dollari di multa e centinaia di milioni di parcelle d’avvocato e consulenti (per la massima parte americani), senza considerare i costi interni e possibili danni morali.

Diverso il sistema giudiziario con giudici e giurati e quella della scorsa settimana è la seconda assoluzione in materia di banchieri svizzeri negli Stati Uniti. I predetti professori di diritto criticano per la loro arrendevolezza, per l’atteggiamento da allievo modello il Consiglio federale, burocrazia, Finma ecc..
Condivido l’opinione degli importanti giuristi ma temo che le ragioni dell’arrendevolezza vadano oltre la paura e la mancata conoscenza della realtà americana.

Un ministro delle finanze come Widmer Schlumpf e con lei molti funzionari ma anche esponenti del mondo politico non avevano solo paura degli americani, ne condividevano (talvolta per ragioni ideologiche talvolta per ingenuità o facile moralismo) l’atteggiamento senza dimenticare l’istintiva avversione per il mondo degli affari e specie per i banchieri. Ora tra i banchieri vi sono dei furfanti (più pericolosi dei furfanti in altri settori economici), e i furfanti vanno messi in prigione (lo si fa troppo poco) ma debbono venir messi in prigione quali furfanti, non perché sono banchieri. Consiglieri federali, alti funzionari, autorità diverse, gli stessi giudici debbono rendersi conto che non sono nominati con l’incarico di salvare il mondo, di diffondere le proprie pur rispettabili convinzioni ideologiche o per ricevere lodi dalle controparti straniere, ma per difendere gli interessi (anche di bottega) della Svizzera.

Che lo scontro tra Stati sia un continuo scontro di interessi spesso velato da ipocrite considerazioni moralistiche e pretestuosamente ideali, lo constatiamo ogni giorno leggendo i quotidiani ed ascoltando i telegiornali. E se giudichiamo dal risultato della guerra dichiarata dagli Stati Uniti alla piazza finanziaria svizzera non ci pare che i nostri interessi siano stati difesi al meglio. Infatti, oggi le banche svizzere, terrorizzate, evitano di aprire conti a potenziali clienti americani. Per contro, se uno svizzero alla ricerca di discrezione e della sicurezza che le autorità svizzere non ne vengano mai informate vuole aprire un conto, gli Stati Uniti sono il luogo ideale.

Tito Tettamanti