Gerusalemme 4 gennaio 2018

 

Inutile girarci intorno: la verità, per quello che riguarda l’informazione, soprattutto la cronaca, è oltre i confini del possibile, così labili che per poterli vedere ci vorrebbe un microscopio e tanta buona volontà. Certe notizie, quando convengono, rimangono per giorni sulle prime pagine dei quotidiani e nei servizi di apertura di quasi tutti i telegiornali. Ci vengono raccontate in ogni sfumatura e in ogni particolare, fino alla nausea e oltre. Quando invece una notizia, anche simile ma a parti invertite, non conviene, ci si limita al minimo sindacale cercando anche di oscurarla da un altro articolo uguale e contrario in modo che il più e il meno si equivalgano e nessuna traccia pericolosa rimanga nella memoria della gente e nella tela della storia. Questa, cari lettori, non si chiama informazione ma propaganda, una pratica molto in uso nelle dittature per tenere la popolazione all’oscuro di ciò che realmente accade, una pratica che in democrazia dovrebbe essere illegale ma che da quando il potere ha preso possesso degli organi di stampa dilaga ormai come un’onda anomala. I giornalisti, secondo Indro Montanelli, i cani da guardia della democrazia, quasi tutti ormai tengono famiglia e la professione, nella maggior parte dei casi, anziché essere una missione è diventata un posto fisso con tanto di cartellino. Vi chiederete il perché di questa mia dissertazione, vi assicuro che se avrete la pazienza di leggere questo pezzo fino in fondo non vi deluderò. Ricorderete sicuramente le ‘primavere arabe’ di obamiana memoria, gli scontri di piazza che portarono al rovesciamento violento di alcuni regimi e alle dimissioni di diversi governi. Sono sicuro che li ricordate perché in quei giorni giornalisti, inviati, corrispondenti free lance e chi più ne ha più ne metta, si avventuravano addirittura dentro le manifestazioni, anche violente, riportando e riprendendo tutti i particolari, anche i più insignificanti, per dare risalto al momento di rottura che ‘l’uomo della provvidenza’ aveva innescato con il suo famoso discorso del Cairo. Sapevamo tutto quello che accadeva in Algeria, in Tunisia, in Egitto, in Libia, un po’ meno di ciò che accadeva nello Yemen, in Iraq, nello Bahrein, a Gibuti e in Giordania, questi ultimi erano regimi che non interessavano troppo il ‘Nobel per la pace’ per cui bastava raccontare qualcosa per dovere di cronaca e il gioco era fatto. Inutile rammentare che tutte quelle nazioni che vennero investite dal vento della libertà, che una volta finito ha lasciato sul terreno centinaia di migliaia di morti, in diversi casi si sono ritrovate con dittature peggiori di quelle che nelle intenzioni si voleva defenestrare. In quel periodo però, sempre ispirata del vento della novità, ci fu un’altra rivolta di cui si seppe poco e che non riuscì neanche a scalfire il potere: quella in Iran. Rivolta che al contrario delle altre non fu seguita dai media, neanche da lontano, nonostante un numero considerevole di morti rimasti sul selciato, di arrestati dei quali non si è saputo più niente e impiccati sulla pubblica piazza per tradimento o omosessualità, una scusa plausibile si trova sempre. Quando nel 2009 la “rivoluzione verde” minacciò il regime iraniano, Obama e la sua amministrazione si astennero dal sostenere le proteste e l’ex presidente dichiarò: “rispettiamo la sovranità iraniana e vogliamo evitare che gli Stati Uniti siano la questione all’interno dell’Iran”. Prese insomma una posizione diametralmente opposta a quella tenuta nei confronti delle altre nazioni che dovevano essere ‘obamizzate’. Sarà forse perché in quel periodo Washington stava già aprendo il tavolo segreto delle trattative sul nucleare iraniano e far parlare troppo la stampa ‘libera’ su quello che stava accadendo a Teheran poteva indispettire gli Ayatollah? La domanda, lecita anche se impertinente, rimarrà per sempre senza risposta: ma si sa che a pensare male quasi sempre ci si azzecca… anche se si fa peccato. Dal 2009 al 2018 sono passati nove anni e nel frattempo molte cose sono cambiate. Il trattato per il nucleare iraniano è stato firmato e la Russia di Putin, approfittando della debolezza americana, ha ripreso il suo ruolo in Medio Oriente. L’Egitto, per assurdo, ha ritrovato la stabilità sotto una dittatura militare dopo aver assaggiato un anno di governo a guida della Fratellanza Musulmana, dalla Tunisia e dall’Algeria non arrivano notizie mentre la Libia, la Siria, il nord dell’Iraq sono nel caos più completo. Fa storia a sé la Turchia, guidata dal nuovo Rais Erdogan diventato padrone supremo dopo il tentato golpe, Turchia sempre più vicina all’Islam e lontana dalla NATO. Anche a Washington le cose sono cambiate e Obama non parla più dallo studio ovale ma dalle redazioni di molte radio e televisioni rilasciando interviste di fuoco contro chi lo ha sostituito, cosa mai successa prima nella storia degli Stati Uniti d’America. Solo una cosa non è cambiata, il comportamento dei media del ‘mondo libero’ nei confronti delle proteste di massa che sono riprese in Iran, proteste della gente stanca di vivere sotto il tallone d’acciaio della dittatura sciita. Sono poche e scarne le notizie che arrivano dalla Repubblica Islamica e quelle riportate, anche dalle prestigiose testate occidentali, sono spesso sapientemente edulcorate al punto che se qualcuno ne vuole sapere di più deve necessariamente andarsi ad informare sui siti di chi non ha paura di raccontare in toto quelle poche notizie che superano i filtri della censura. Per esempio credo sia utile sapere che, mentre la Turchia ha annunciato il suo sostegno alla battaglia dell’Iran contro ‘la ribellione’, un segno di preoccupazione delle autorità iraniane viene dalla lettura di ciò che ha ordinato il comandante delle Guardie Rivoluzionarie, il generale Mohammad Ali Jafari, che ha deciso l’invio di forze nelle province di Hamadan, Isfahan e Lorestan per affrontare “la nuova sedizione”. Se sono necessarie nuove forze significa che la rivolta in corso è lontana dall’essere domata. Si tratta di proteste iniziate la scorsa settimana a causa della frustrazione della gioventù e della classe operaia per le difficoltà economiche. Si tratta di una sollevazione contro i poteri e i privilegi di una élite remota, in particolare quella del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei. Alcuni video arrivati in occidente tramite i social media hanno chiaramente mostrato i manifestanti nella città settentrionale di Nowshahr mentre gridavano “morte al dittatore” e le donne, in segno di protesta estremo si toglievano, davanti alle telecamere dei telefonini, i veli dalle loro teste mostrando al mondo intero, o almeno a quello che ha il coraggio di guardare, la loro disperazione. È deprimente guardare l’Europa in questo momento, l’Europa che dopo la corsa al Business miliardario con Teheran non ha la forza di abbracciare una rivolta popolare che chiede libertà, giustizia e anche democrazia. Deprimente come guardare le fotografie della Lady Pesc Mogherini o della Presidenta della Camera Italiana Boldrini, lo so che presidenta è grammaticalmente sbagliato ma accontentiamola, completamente velate e in atteggiamento di sudditanza, mentre erano in attesa di essere ricevute dal dittatore con turbante e sorriso vincente sotto la barba ben curata.

Michael Sfaradi