Il Comitato Nucleare e Ragione, nato nell’aprile 2011 in seguito all’incidente all’impianto nucleare di Fukushima-Daiichi, costituto da studiosi, docenti universitari, tecnici e ricercatori di diversi ambiti della Fisica, s’impegna a “usare la ragione per capire il nucleare”. A tal proposito Ticinolive ne ha intervistato i principali esponenti: Enrico Brandmayr, Paolo Errani, Pierluigi Totaro.

Il Comitato Nucleare e Ragione.

La prima domanda che verrebbe in mente a un “profano” in materia, sarebbe: disastri come Chernobyl e incidenti quali il recente Fukushima potrebbero ripetersi?

No, quello di Chernobyl è un caso estremamente particolare, irripetibile sia per la messa in disuso di quel tipo di centrali nucleari, sia per l’unicità delle condizioni e delle cause scatenanti, in particolare la sequenza di errori umani. Quello di Fukushima, con alcuni distinguo, potrebbe invece essere un tipo di incidente ripetibile, in parte anche negli esiti più gravi, ossia la contaminazione radioattiva dell’ambiente, ma solo in alcune centrali nucleari di vecchia concezione e prive di un edificio di contenimento del reattore sufficientemente resistente. Tuttavia, sono già state prese molte misure precauzionali in tutto il Mondo, a seguito di una serie di stress test guidati dalla AIEA. Stiamo quindi parlando di probabilità molto remote.

Ci sono zone propense per la costruzione di impianti nucleari e zone invece sconsigliate?

Gli impianti nucleari in fase di operatività non producono alcuna sorta di inquinamento atmosferico, occupano un’area ridotta (circa 4-5 km quadrati), e sono a volte anche belli da vedere; infatti spesso ospitano musei, come a Leibstadt, e attraggono visitatori.Hanno bisogno di una fonte d’acqua per il raffreddamento, mare, lago o fiume, ma a parte questo, con le dovute precauzioni in caso di aree sismiche, possono sorgere praticamente ovunque. E con la tecnologia di nuova generazione le centrali nucleari saranno sempre più ⎼ come dire ⎼ adattabili, alcune di dimensioni ridotte per fornire energia supplementare o in zone isolate, alcune galleggianti, che si spostano come chiatte dove c’è bisogno, ecc. In generale sono e saranno sempre più ottimizzate sotto ogni punto di vista, ovviamente anche quello della sicurezza.

 

La centrale nucleare di Leibstad in Svizzera. (Foto dal blog di Nucleare e Ragione)

Le energie rinnovabili, per quanto sfruttate, non soddisfano il fabbisogno delle popolazioni. Perché?

Esistono limiti tecnici, ambientali, di risorse. Come direbbe David MacKay, autore di “Energia sostenibile – senza aria fritta”, le rinnovabili sono disseminate, vale a dire richiedono spazio, consumano suolo. Su larga scala gli impianti di generazione elettrica da fonte rinnovabile richiedono bacini di approvvigionamento (dell’acqua, del vento, della radiazione solare, ecc.) di dimensioni tali da competere con le esigenze di altri settori, primo fra tutti quello agricolo. In aggiunta, ai problemi di fabbricazione ed installazione dei sistemi di conversione energetica dalla fonte rinnovabile all’elettricità vanno sommati quelli di ancor più difficile soluzione inerenti la trasmissione e la distribuzione dell’energia elettrica prodotta. Infine, anche quando tutta l’umanità andava al 100% a rinnovabili, e c’era un decimo della gente di adesso, nelle aree di maggiore densità di popolazione l’approvvigionamento di legna da ardere era un problema con impatti ambientali devastanti. Oggi ci stiamo muovendo verso un Mondo con 10 miliardi di abitanti di cui il 70% concentrati in megalopoli. Fate un po’ voi i conti, a noi non tornano.

La soluzione sarebbe dunque ricorrere al nucleare?

Certamente, il nucleare fornisce energia pulita e sostenibile, senza interruzione causata dagli eventi atmosferici anche estremi, e può facilmente affiancare una quota di rinnovabili variabile a seconda delle esigenze della rete elettrica, come avviene ad esempio in Francia e Svezia. Naturalmente, l’integrazione nucleare-rinnovabili va studiata con cura, a seconda delle risorse del Paese e del tipo di domanda, puntando comunque preferibilmente ad una elettrificazione sempre più spinta dei consumi energetici. Alcuni Paesi che già hanno una percentuale estremamente elevata di elettroproduzione da rinnovabili, come Islanda (geotermico) e Norvegia (idroelettrico), potrebbero considerare la fonte nucleare come un’aggiunta a supporto dell’espansione della mobilità elettrica, delle attività di alcune zone industriali o portuali, oppure per produrre acqua calda sanitaria. Altrove si potrebbero studiare opportune integrazioni per desalinizzare l’acqua marina, irrigare campi, riscaldare serre, ecc. Infine, il nucleare deve tornare nel trasporto marittimo ed assumere un ruolo dominante, se con la decarbonizzazione si vuole fare sul serio. Altrimenti continueranno ad aumentare non solo le emissioni climalteranti ma anche quelle di aria fritta.

In Germania decine di villaggi stanno per scomparire per la sola “colpa” di sorgere su giacimenti di carbone. (Ha creato indignazione la demolizione della Chiesa di Immerath). Ricorrere al nucleare potrebbe arginare tale distruzione?

Immerath : la Chiesa di San Lambertus distrutta per far spazio a una centrale di lignite

Si tratta di un vero e proprio scempio. E l’abbandono del nucleare lo rende ancor più grave. Occorreva piuttosto aumentare la quota di nucleare! Ora, non vorremmo che passasse il messaggio che siamo contrari all’utilizzo del carbone ⎼ come si dice ⎼ senza se e senza ma; siamo perfettamente consapevoli del fatto che le centrali termoelettriche a carbone di recente costruzione sono decisamente migliori rispetto a quelle che alimentavano lo smog di Londra uccidendo decine di persone nel giro di pochi giorni.

Riteniamo tuttavia opportuna una graduale uscita dall’utilizzo del carbone a favore del binomio nucleare-rinnovabili.

Riteniamo altresì razionale un utilizzo del gas laddove questo però non comporti il mettere a rischio la sicurezza energetica, vale a dire per esempio il dipendere da Paesi produttori caratterizzati da forte instabilità politica se non addirittura tendenzialmente ostili. Se però si preferisce il carbone al nucleare e per questo si è disposti ad ogni sacrificio come quello di distruggere un patrimonio religioso, artistico e paesaggistico; beh allora ⎼ ci si passi il termine ⎼ questa è guerra! Pur considerando tutti i problemi e i costi di progettazione, costruzione, operatività e manutenzione, una centrale termoelettrica nucleare è almeno un ordine di grandezza meno impattante di una a carbone o a gas: è una questione di fattore di capacità, ossia di disponibilità della potenza installata e di spazio necessario per le varie strutture ed apparecchiature; e a sua volta questo deriva dalla densità di energia del combustibile stesso. Il cosiddetto combustibile nucleare contiene per ogni grammo una quantità di energia diversi ordini di grandezza superiore a qualsiasi altro combustibile. E grande densità energetica significa (vedi famosa legge di Einstein) piccoli volumi. Nei vari passaggi di trasformazione energetica ovviamente si perde gran parte dell’energia contenuta nei nuclei del materiale fissile, ma rimane comunque il fatto che gli ingombri per contenere il processo di trasformazione sono molto ridotti.

Perché non vi sono comitati che con scioperi e manifestazioni, si oppongano alla distruzione di questo patrimonio storico e culturale?

In verità ci sono, ma non sono ascoltati e soprattutto le loro istanze non sono pompate dai media quanto quelle di altre associazioni, ONG, ecc. Per quale motivo difficile da stabilirsi, verrebbe da dire semplicemente “seguite i quattrini”…

Greenpeace : la (vana) protesta per salvare la chiesa dalla distruzione

Perché, dunque, le centrali nucleari non provocherebbero la distruzione di villaggi, al contrario del sopracitato caso del carbone o, per esempio, delle discusse centrali eoliche?

Per il semplice motivo che occupano poco spazio e non hanno problemi di approvvigionamento continuo (possono tirare dritto anche un anno e mezzo con un carico di poche tonnellate di combustibile), e se in fase di progettazione sorgono problemi di interferenza con un qualche patrimonio ambientale o culturale possono essere costruite da un’altra parte. Va comunque sottolineato che è molto difficile che una centrale nucleare impatti negativamente sulla biosfera. Anzi. Spesso accade che alcune famiglie di falchi scelgano di nidificare sulle torri di raffreddamento. Oppure che flora e fauna traggano solo giovamento dai pochi gradi in più regalati dalle acque pulite scaricate in mare o nei fiumi dai circuiti di raffreddamento. Per finire, in futuro saranno sempre più diffusi anche impianti nucleari di dimensioni ridotte tali da poter essere completamente camuffati se non installati sotto terra. Tutti i principali problemi di implementazione della tecnologia nucleare sono dovuti ad interessi economici contrastanti o all’opposizione ideologica.

La scelta della Germania di Angela Merkel di vertere sul carbone è condizionata anche dalla ricerca di voti?

É evidente, ma anche interessi economici. La popolazione tedesca spaventata ⎼ a nostro avviso a torto ⎼ dall’incidente di Fukushima ha chiesto l’abbandono del nucleare. La politica ha cavalcato questa paura promuovendo carbone e lignite, di cui la Germania è ricca, a scapito del nucleare e a scapito dell’ambiente. Inoltre, se si dispone dell’intera filiera in casa, il carbone impiega sicuramente più manodopera del nucleare, specie non qualificata e ciò costituisce un ritorno immediato e più politicamente spendibile dei benefici del nucleare, che si vedono nel lungo periodo.

Settembre 2017. Angela Merkel al Salone di Francoforte, ha chiesto di ridurre le emissioni di Co2 del 40%. I risultati tuttavia non sono certo di miglioramento.

Perché Energiewende, la “transizione energetica verde” della Germania ha fallito?

Energiewende, partita negli anni 90 del secolo scorso con le migliori intenzioni e qualche buon risultato iniziale, è divenuta nel tempo un inutile e costosissimo sforzo economico, sociale ed ambientale. Non siamo solo noi a dirlo ⎼ come abbiamo fatto in diversi articoli sul nostro blog ed alcune conferenze, illustrando le proporzioni del fallimento con dati ed analisi. Lo confermano studi scientifici come quello di Hans-Werner Sinn, pubblicato da Elsevier la scorsa estate su European Economic Review; ma soprattutto è la confindustria tedesca che da mesi tuona contro l’ostinazione politica a non rivedere il piano nelle sue criticità divenute insostenibili. Si vedano ad esempio i sempre più frequenti articoli del Handelsblatt a tal proposito. Ci sono inoltre gli allarmi di diverse associazioni ambientaliste la cui visione non è accecata dall’apparente successo delle rinnovabili, e le proteste di comitati di cittadini che sono esasperati dal costo dell’energia o che si oppongono alle opere infrastrutturali indispensabili per modificare la rete elettrica allo scopo di gestire il peso sempre più preponderante delle fonti aleatorie. E per fortuna che quando fai presente ai fan della Energiewende il fallimento degli obiettivi di decarbonizzazione, ti rispondono che nossignore l’idea non era quella, ma “una gestione democratica dell’energia”, o qualche cosa di simile…

Garzweiler II : la devastante miniera di lignite in Westfalia

Per essere chiari e sintetici, il fulcro della questione sta nel fatto che i mezzi sono divenuti il fine ultimo della transizione stessa. In altre parole, si doveva passare da un’economia ad alta intensità di carbonio ed elevati livelli di inquinamento ad una più sostenibile. Questo significa per esempio decarbonizzare la produzione elettrica, ma se per farlo si chiudono le centrali nucleari lo sforzo compensativo per colmare questa lacuna con le rinnovabili, soprattutto se del tipo intermittente/aleatorio come il fotovoltaico e l’eolico, è talmente grande che si è costretti ad abbandonare gli obiettivi iniziali ⎼ prima in parte, poi in toto; proprio come è successo qualche giorno fa con l’obiettivo di decarbonizzazione per il 2020, sulla cui eliminazione tutti i partiti della nuova coalizione in fieri si sono trovati d’accordo. Ed è incredibile la faciloneria con cui si è passati ad un tale deterioramento del piano di transizione energetica. Dopo il grave incidente di Fukushima, il cancelliere della Repubblica federale tedesca, Sig.ra Angela Merkel disse qualcosa del tipo “anche io ora ho paura del nucleare”; quando in precedenza, supportata dal suo partito, aveva sempre contestato l’ipotesi di uscita dal nucleare sbandierata da Verdi e Socialdemocratici. Paura di cosa, vien da chiedersi, non certo di uno tsunami in Baviera. Neppure è possibile avesse iniziato ad aver paura a causa dei morti da radiazioni a Fukushima, che non ci sono stati né molto probabilmente mai ci saranno. Più probabile si tratti di paura generata dagli incubi che certe associazioni ambientaliste ed ONG da decenni instillano nella coscienza collettiva. Per non pensare a peggio, vale a dire ad interessi di lobby molto influenti. Non dimentichiamoci, infatti, che tra i tanti autodefinitisi salvatori del pianeta c’è anche gente spregiudicata che non si fa remore a speculare sull’ignoranza come sulle sofferenze altrui o anche ad abusare per fini lobbistici del bene comune, come per esempio ci ha appena ricordato papa Francesco a proposito degli affari che alcune ONG ambientaliste hanno in Amazzonia.
Ci sono tuttavia segnali deboli di cambiamento. Vogliamo essere fiduciosi, o meglio parzialmente ottimisti: come è vero che ora i tedeschi comprano pannelli fotovoltaici dai cinesi e gas dai russi per sopperire alle bassissime prestazioni in termini di fattore di capacità dei primi, nulla vieta che in un futuro non troppo lontano si ritrovino a comprare dai medesimi fornitori centrali nucleari di ultima generazione.

Vi sono altri paesi, oltre alla Germania, che, in nome delle energie rinnovabili, stanno assistendo a una distruzione simile?

Non certo con queste proporzioni. Per esempio negli Stati Uniti, nonostante l’espansione delle rinnovabili (anche a discapito del nucleare) si fa ancora molto affidamento al carbone per produrre elettricità e si continua a sfruttare miniere molto estese con gravi impatti ambientali; ma si tratta di un Paese di dimensioni notevolmente superiori, con un patrimonio paesaggistico e culturale molto diverso. Inoltre, va evidenziato che la nocività della Energiewende è del tutto particolare, perché si estende sui Paesi limitrofi a causa dei picchi di sovra-produzione da fonti rinnovabili non programmabili/pianificabili. Si genera infatti un sovrappiù di elettricità che viene riversato nella rete elettrica dei vicini, anche con effetti per così dire imbarazzanti. Noi per esempio abbiamo notato che ai picchi di elettroproduzione eolica in Germania corrisponde spesso un fermo delle centrali idroelettriche in Austria. Altri Paesi confinanti si stanno attrezzando per impedire tecnicamente questo particolare dumping energetico. Infine, non è da escludere che la recente decisione, avallata anche da un referendum, di non continuare a puntare sul nucleare in Svizzera, sia stata influenzata dai costi competitivi della produzione termoelettrica tedesca da lignite e/o carbone fossile. Per intenderci, quando si hanno i picchi di sovra-produzione in Germania, si può modulare la potenza delle centrali convenzionali tedesche per ⎼ come dire ⎼ smussare i picchi, oppure si può vendere l’eccesso di produzione agli svizzeri ad un prezzo inferiore a quello della loro produzione autoctona.

Circa una decina d’anni fa si ponderava la costruzione di centrali nucleari anche in Italia. Ci fu però chi sostenne che il nucleare per l’Italia sarebbe stato un pericolo, essendo il nostro paese a rischio sismico, con conseguente rischio d’esplosione. Confutereste tale affermazione?

Quest’affermazione è senz’altro contestabile. L’energia nucleare è storicamente usata in aree molto più sismiche dell’Italia, quali California e Giappone. Lo studio del rischio sismico, oggi esteso a tutte le infrastrutture, prese le mosse proprio dalle necessità di sicurezza delle centrali nucleari. Le centrali nucleari sono costruite per resistere ai terremoti più forti possibili in una determinata area e sono soggette a stringenti protocolli nazionali e internazionali e a periodiche revisioni della sicurezza.
Inoltre si sarebbe potuto costruire le centrali in quelle aree d’Italia dove la pericolosità sismica è bassa o moderata, ad esempio Sardegna, Puglia e Piemonte. L’affossamento del nucleare in Italia fu questione politica, non tecnica.

Nucleare e disinformazione. Quali sono gli effettivi rischi, che arginerebbero di fatto la costruzione di centrali nucleari?

C’è solo un muro, apparentemente insormontabile che delimita e di fatto finora ha impedito l’espansione della tecnologia nucleare verso una posizione dominante nella produzione di elettricità a livello mondiale, ed è il rischio economico-finanziario. Tutti gli altri tipi di rischi sono ingigantiti dai mezzi di informazione di massa e da gruppi di pressione di varia natura; ma essenzialmente la tecnologia nucleare per quanto riguarda il livello di gestione della qualità e del rischio incidentale è del tutto simile a quella aerospaziale. Anzi per molti versi è più sicura ed affidabile. Siamo ben disposti ad accettare i rischi di un volo intercontinentale, chiediamoci perché la centrale nucleare dietro casa ci inquieta, o peggio ci terrorizza. Discorso più lungo e complesso è quello inerente l’individuazione delle cause che determinano un così elevato rischio economico-finanziario, che ⎼ va specificato ⎼ per le centrali nucleari riguarda quasi esclusivamente la fase di costruzione (ed ovviamente l’ingegneria e l’approvvigionamento a supporto). Forse è solo una questione di regolamentazione, di limiti di progettazione eccessivamente conservativi in merito alla sicurezza in generale o alla radioprotezione in particolare. Forse. Non siamo sicuri. Non abbiamo una risposta breve ed esaustiva a questo proposito. Invitiamo, però, a notare che in Cina negli ultimi dieci anni le centrali nucleari si costruiscono bene, mediamente nella metà del tempo e spendendo poco più della metà che in Occidente. E ne costruiscono decine, per la maggior parte nei tempi prefissati.

Quali sono invece le conseguenze negative delle energie rinnovabili?
In primis, finché continueranno ad essere usate in competizione con la produzione elettronucleare, non porteranno alcun serio contributo né in termini di sostenibilità ambientale, né in termini di sostenibilità economica alla transizione energetica da tutti auspicata. Inoltre, come per tutte le tecnologie occorre considerare gli impatti dell’intera filiera, come si dice “dalla culla alla tomba”. Perché bisogna ricordarlo sino allo sfinimento, è vero per esempio che il sole è gratis, ma i pannelli fotovoltaici no; e non è un problema di costo monetario (qui ed ora), è un problema di costo energetico e di disponibilità dei materiali per fabbricarli (sul lungo periodo). Contando le tonnellate di materie prime, alcune molto rare, o il ritorno energetico per ogni unità di energia elettrica prodotta da centrali alimentate da fonti rinnovabili si ottengono risultati sconfortanti. E ci sarebbe poi da smaltire o riciclare la roba obsoleta… Sia ben chiaro, questi problemi non mancano nel settore nucleare, ma ad uno o più ordini di grandezza inferiori, anche tenendo conto della gestione dei materiali radioattivi ⎼ è una questione di densità energetica, come già abbiamo detto. Si capisce bene, dunque, che volendo aumentare il contributo delle rinnovabili moderne (la legna da ardere, magari la lasciamo da parte) si deve essere disposti ⎼ allo stato dell’arte della tecnologia ⎼ a chiudere gli occhi sul fatto che mentre da qualche parte l’aria è bella pulita perchè non ci sono ciminiere, da qualche altra parte l’aria è sempre più inquinata perché ci sono sempre più miniere e ciminiere per estrarre materiali e fabbricare pannelli, pale e tutti gli altri componenti indispensabili. Questo è moralmente inaccettabile, ai nostri occhi. Come il fatto che assai spesso il sistema dei sussidi / incentivi alle rinnovabili si sia rivelato nient’altro che un modo di gestire flussi di denaro, particolarmente odioso quando si preleva poco ma spesso a tanti che già avevano poco, e si fa finire tutto nelle tasche di pochi che già avevano molto.

 

Intervista a cura di Chantal Fantuzzi

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