Le argomentazioni di “Gigio” non sono prive di una certa plausibilità. Un discorso economico. A che cosa la gente è più sensibile se non al discorso sui soldi? Noi lo imposteremmo brevemente così. Dalla radioTV di Stato, che si è gonfiata come una rana, anno dopo anno, decennio dopo decennio, irresistibilmente, dipendono economicamente molte famiglie e numerose aziende. È diventata dunque – come la grandiosa, inarrivabile UBS – “too big to fail”.

Una cosa fondamentale Pedrazzini non la dice (forse perché non la pensa neppure). Una domanda non se la pone. A che cosa serve realmente la radiotelevisione di Stato? A proporre i giochini a premio, la serie “Il guardiacaccia” o un servizio sulla fienagione in Val Calanca? Anche a questo. Ma soprattutto serve a controllare e a manipolare l’informazione politica.

Domandiamoci (è una domanda facile) chi ha promosso l’iniziativa, chi sta dalla parte del Sì? Risposta: la parte politica che è stata costantemente danneggiata dall’informazione di Stato***. La parte politica che è (da decenni) totalmente estranea all’azienda.

Faranno bene ad essere contro? Io non lo so, ma voi potete sempre dire la vostra.

*** Come dice l’onorevole Chiesa, un alto esponente UDC che vota no, “una volta era peggio”. Anzi, mi correggo, lui non dice così. Dice, pudicamente: “sono migliorati…”

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Ho ascoltato il dibattito proposto mercoledì mattina da Modem sulla Rete Uno della radio RSI con Doris Leuthard, Alain Bühler, Battista Ghiggia e Maurizio Canetta. Molto convincente il richiamo finale della Consigliera Federale al senso di responsabilità che deve guidare le scelte della politica svizzera. Il nostro sistema permette di sottoporre al popolo di tutto e di più, ma poi bisogna responsabilmente essere in grado di indicare le conseguenze di un voto. È ciò che palesemente non sono in grado o, peggio ancora, non vogliono fare i sostenitori di No Billag.

Continuano a ripetere fino alla noia – vogliono prendere gli elettori per sfinimento ? – che no, l’iniziativa non significa la fine della SSR, che essa potrà andare avanti addirittura in tutte e quattro le regioni linguistiche svizzere (perché le aste delle frequenze potranno contenere delle clausole restrittive dello Stato a tutela delle minoranze…). Se poi la SSR dovesse comunque chiudere, la colpa sarà del suo management che non si è mai preoccupato di studiare un’alternativa che compiacesse gli iniziativisti. Ma quale alternativa  resta a un’azienda nazionale che viene privata definitivamente  del 75 % delle sue entrate e che per evidenti ragioni vedrebbe diminuire la sua offerta generalista e l’attrattività e quindi anche  gli introiti pubblicitari? Certo, i sostenitori dell’iniziativa lo sanno, ma si guardano bene dal confessarlo, in nome della  tesi del risparmio:  questa chiusura  va a scapito soprattutto  delle regioni minoritarie, come la Svizzera italiana, che sino ad oggi hanno beneficiato di una ripartizione  a loro favorevole! Se il servizio pubblico radiotelevisivo in lingua italiana dovesse finanziarsi da solo, come preconizzano i sostenitori, i soli programmi d’informazione (dimentichiamo lo sport e tutto il resto…) costerebbero molto di più dell’attuale canone. E per il resto, per lo sport, per il telefilm? Pay TV !

Sarà bene fare quattro calcoli prima di buttare la scheda nell’urna!

Luigi Pedrazzini, presidente CORSI