Il giornalista aveva 82 anni ed è stato per oltre quattro decenni corrispondente ed editorialista del quotidiano Corriere della Sera, da lui anche diretto. Uomo di cultura, è stato autore di numerosi saggi di carattere storico e politico con i quali raccontava la politica italiana e mondiale distinguendosi per il suo spirito polemico senza risparmio di critiche accompagnato dal suo appassionato sostegno del pensiero liberale. Liberalismo il suo, inteso soprattutto come teorica delle libertà e non dei diritti.

Nel 2015 lasciò il Corriere della Sera per passare al quotidiano Il Giornale, proseguendo a scrivere anche da quella testata giornalistica contro i salotti radical chic.

Nato a Venezia da famiglia piemontese, si laureò in Scienze politiche presso l’Università di Torino, specializzandosi in sistemi politici dei paesi comunisti. Non ancora trentenne è stato tra i fondatori del Centro di ricerca Luigi Einaudi.

Uno dei suoi temi più forti era la polemica contro gli eccessi del giustizialismo. Disapprovava infatti l’invasiva intromissione della magistratura nel campo politico manifestando con preoccupazione il fallimento di ogni tentativo riformatore in nome di una esigenza morale della vita pubblica. Secondo lui i magistrati agivano al limite del diritto.

Secondo il suo ideale un quotidiano doveva essere soltanto spirito critico in una forma di correttezza professionale intesa come una militanza, e non un servizio pubblico o una istituzione come altri direttori sostenevano. Raccomandava spesso ai suoi giovani giornalisti durante le riunioni in redazione di non raccontare nulla «dal buco della serratura» difendendo il giornale da qualsiasi ingerenza politica esterna, perché era proprio il giornale che considerava il vero salotto elegante e mondano.

Alla guida del Corriere aveva spiegato di far tornare la sua linea anti ideologica, pragmatica senza allineamenti politici, soppressa dai precedenti direttori. Evitando al quotidiano di essere un passacarte ideologico riuscì a far avvicinare al Corriere menti libere come quelle di Renato Mieli e Leonardo Sciascia.

Ma la sua idea di militanza liberale gli fu scomoda, mettendolo in contrasto con l’intellettualità di sinistra di quel periodo che riuscì a minare la sua direzione grazie all’influenza esercitata su buona parte delle redazioni filocomuniste del Corriere che avviarono la campagna di denigrazione nei suoi confronti.

Il suo pensiero liberale, a differenza di oggi, era completamente discordante con i tempi nel quale è vissuto. Era però tenuto molto in considerazione negli anni ottanta dai politici socialisti e laici, oltre che dai radicali di Marco Pannella anche quando venivano da lui criticati per le loro iniziative.

Le sue corrispondenze abbastanza critiche quando era inviato da Mosca non andavano giù invece ai dirigenti comunisti.

La sua formazione deve molto alla scuola illuminista scozzese di cui lui apprezzava la fede nell’individuo e la consapevolezza dell’imperfezione umana. Contrastando lo statalismo, diffidava dell’illuminismo francese che aveva prodotto con il terrorismo rivoluzionario posizioni caratterizzate da radicalismo e intransigenza nella promozione dei valori repubblicani dando luogo a dittature.

Era un uomo molto curioso, aveva attenzioni in diversi campi ai quali dedicava tutta la voglia di capire e di far capire. Ha sempre messo in discussione istituzioni considerate intoccabili, come la Costituzione italiana considerata da lui un imbroglio nato da un compromesso tra due Resistenze, quella democratica e quella comunista. Una Costituzione che riconosce i diritti individuali ma li subordina all’utilità sociale e quindi al benessere collettivo. Astrazioni ideologiche secondo lui.

Era anche contro al pensiero europeo quando quest’ultimo vuole riproporre modelli del novecento dove non si regolavano i poteri e i compiti dello Stato, ma si proponevano di cambiare gli uomini.

Piero Ostellino, è stato un uomo di mente aperta e di grande generosità che a proposito del cambiare gli uomini sosteneva che era «un peccato contro lo Spirito».