Aldo Romeo Luigi Moro fu presidente per cinque volte del Consiglio dei Ministri d’Italia. Politico, accademico, giurista italiano, uomo di mondo e al contempi di famiglia, padre di quattro figli, fu troppo moderno per i suoi tempi e, forse, anche per i nostri.

Oggi più che mai, in Italia, si sentirebbe il bisogno di uomini onesti e onest’uomini (“con l’accento”, come scrive Tolstoj in Anna Karenina, precisando la differenza trai due) e Moro fu capace di essere il meglio di entrambi. Non fu capito. Ebbene oggi, in un’Italia in balìa dell’ingovernabilità, nella quale i due partiti vincitori, entrambi populisti, l’uno propendente per la destra, l’altro per la sinistra, ma comunque entrambi di tendenza popolare, non sanno mettersi d’accordo per creare un governo stabile, di cui l’Italia non soltanto avrebbe bisogno, ma di cui necessita terribilmente, e pertanto – si direbbe – ricorrano ai nomi di figure dalle ampie vedute, capaci di larghe intese e beni comuni, (come colui di cui si ponderava, poc’anzi, la presidenza della Camera), oggi dunque, più che mai manca una figura hegeliana, di sintesi, capace di coniugare i molteplici voleri partitici, nell’unico sentiero comune: il bene del popolo.

Aldo Moro , dicevamo, fu troppo moderno per il panorama politico di fine anni ’70. Parlò di “convergenze parallele” per indicare una salvifica alleanza tra parti non comuni, da sempre distanti, eppure, idealmente, convergenti; non già il cavouriano trasformismo, quanto piuttosto due rette che s’intersecano nel punto in cui il popolo possa meglio favorirne. Non opportunismo, ma opportunità.

I brigatisti di estrema sinistra, di sintesi salvifiche, non ne vollero sapere. La mattina del 16 marzo si ebbe quello che il Presidente Gentiloni, nella commemorazione di stamane in via Fani, ha definito “il più grave attentato alla democrazia italiana”. Era il giorno della presentazione del quarto governo guidato da Andreotti, quando la Fiat 130 che trasportava Moro alla Camera dei Deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse, all’incrocio di via Fani con via Stresa. La sua scorta fu trucidata, in pochi secondi perirono l’appuntato Domenico Ricci, il maresciallo Oreste Leonardi, e gli agenti Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, e Francesco Zizzi.

Moro fu rapito e per 55 giorni tenuto in luoghi che, la storia del poi, quella che si fa col se sancì come scontati, prevedibili, come il caso dell’appartamento che non fu forzato, del quale tuttavia, pochi giorni dopo, si seppe essere un covo delle brigate rosse. Moro era lì? Si sarebbe potuto salvarlo?

55 giorni dopo,  Moro fu ritrovato nel portabagagli di una renault rossa, rubata due settimane prima a un imprenditore, trivellato da colpi di arma da fuoco. I brigatisti del covo di via Montalcini lo avevano obbligato a coricarsi sotto un panno, per trasportarlo in un altro luogo. Non appena si fu disteso il panno sul capo, gli avevano scaricato addosso 10 cartucce.

La renault abbandonata fu lasciata all’altezza di via Caetani, a equa distanza da Via delle Botteghe oscure, dove era la sede del PC e Piazza del Gesù, dov’era la sede della DC.

Aldo Moro aveva 61 anni, entrò nella storia come l’uomo che aveva cercato di riabilitare la sinistra, ed era morto per mano della parte estrema di essa.

La scorta di Aldo Moro

Da sx in alto Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Jozzino. Da sx in basso l’appuntato Domenico Ricci e il maresciallo Oreste Leonardi, foto ANSA

Con Moro erano periti cinque uomini della sua scorta, dai 24 anni ai 52, alcuni dei quali avevano stretto un intenso legame di fedeltà e amicizia con Aldo. L’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, 42 anni, il carabiniere Giulio Rivera, 24 anni, il vicebrigadiere Francesco Zizzi, 30 anni, la guardia Raffaele Iozzino, 24 anni.