Gli esperti analisti delle maggiori borse europee vedono l’aumento dei dazi americani come un atto di “ottuso solipsismo”, perché non si tiene conto delle conseguenze sia sugli stessi Stati Uniti che sul resto del mondo.

Eludendo il WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio con sede a Ginevra creata appositamente per controllare e gestire i numerosi accordi commerciali tra gli stati membri, il presidente Donald Trump ha firmato un memorandum per imporre tariffe per un valore di 60 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Diplomatici e funzionari del commercio hanno affermato che l’azione americana violerebbe le regole del WTO, dato che gli Stati Uniti stanno imponendo dazi doganali senza coinvolgere l’organizzazione. E di conseguenza anche le ritorsioni cinesi si discosterebbero dalle stesse regole. Il WTO è come l’organizzazione ONU per il commercio globale. Un luogo in cui le sue 164 nazioni membri si riuniscono per emettere precise regole per cercare di disinnescare conflitti commerciali e agevolare gli scambi. Ma adesso questa organizzazione fondata nel 1995, appare impotente di fronte alle due maggiori economie mondiali vicine ad una ostilità commerciale.

Il direttore generale del WTO, Roberto Azevêdo, ha espresso preoccupazione per il fatto che alcuni Stati membri prendano in mano la situazione. «Queste azioni unilaterali potrebbero portare a un’escalation delle misure restrittive del commercio finendo probabilmente in una sorta di guerra commerciale» ha affermato commentando la decisione del presidente americano.

Eppure l’amministrazione Trump aveva già dichiarato piani per cercare giustizia. Il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Robert E. Lighthizer, ha intenzione di presentare un nuovo caso al WTO per cercare di fermare la politica di Pechino che costringe gli investitori stranieri a trasferire le loro tecnologie in Cina. Ma i diplomatici di Ginevra affermano che il danno al sistema commerciale globale va oltre l’impatto sui metalli, infliggendo un duro colpo alle fondamenta stesse dell’oraganizzazione del commercio.

L’amministrazione Trump ha giustificato le sue tariffe sull’acciaio e l’alluminio sostenendo che la sicurezza nazionale americana è messa in pericolo dalla dipendenza dai metalli importati. Gli esperti del commercio osservano però che gli Stati Uniti producono già più dei due terzi dell’acciaio che usano.

Il ministero del commercio cinese ha proposto un elenco di 128 prodotti statunitensi come potenziali obiettivi di ritorsione. I beni degli Stati Uniti, che nel 2017 avevano un valore di importazione di 3 miliardi di dollari, comprendono vino, frutta fresca, frutta secca e noci, tubi di acciaio, etanolo modificato e ginseng, ha detto il ministero. Questi prodotti vedranno un dazio del 15%, mentre una tariffa del 25% potrebbe essere imposta sulle carni suine e sull’alluminio riciclato. Altri dettagli segnalano i prodotti agricoli statunitensi, in particolare la soia, come la più grande area di potenziali rappresaglie da parte dell’amministrazione cinese. Pechino prenderà delle contromisure entro due mesi se non riuscirà a raggiungere un accordo con Washington, ha riferito il ministro del commercio cinese, aggiungendo che il presidente Xi Jinping potrebbe intraprendere azioni legali secondo le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Trump ha voluto precisare che la Cina è un paese amico affermando di avere un immenso rispetto per Xi Jinping, sottolineando però che gli Stati Uniti hanno un deficit troppo alto con Pechino, «la parola chiave è reciprocità» ha spiegato. Ma le borse vedono il primo indice “dell’ottusità trumpiana” nell’incapacità di comprendere che il commercio internazionale è fondato su un esplicito accordo di cooperazione multilaterale tra tutti i paesi. Accordo ovviamente basato sulla convergenza di interessi. Gli analisti vedono lo scenario basato non più sul libero scambio come opzione preferibile ma sull’alzarsi delle barriere da parte di tutti i paesi. Non perde soltanto colui che non esporta più ma anche quello che non importa più, perché i beni importati sono meno cari e di migliore qualità di quelli domestici. L’acciaio americano costerà così di più. Lo spettro dell’autarchia condizionerà le borse.

Trump ha anche aggiunto che questa è la prima di molte azioni commerciali. Le nuove misure riguarderanno principalmente determinati prodotti nel settore tecnologico in cui Pechino detiene un vantaggio rispetto a Washington.

Gli indici azionari da Tokyo a Shanghai sono crollati di oltre il 3% e i futures europei e statunitensi sono in forte calo seguendo il crollo dei listini asiatici a seguito dei dazi sui prodotti cinesi segnando un ulteriore arretramento dell’indice Standard & Poor 500 – indice che segue l’andamento azionario formato da 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione – del 2,5%. Il rischio di un’ulteriore escalation delle tensioni commerciali minerà una fase insolita della crescita economica globale sincronizzata.

La risposta della Cina è sorprendentemente modesta alla luce delle azioni degli Stati Uniti, e suggerisce che potrebbe esserci ancora molto di più, come dichiarato dall’ex presidente non esecutivo di Morgan Stanley in Asia, Stephen Roach. Essendo il terzo mercato di esportazione dell’America il più grande e in rapida crescita e il più grande proprietario straniero di titoli del Tesoro, la Cina ha considerevolmente più potere negli Stati Uniti.