L’ex presidente del Brasile, Luiz Inàcio Lula de Silva, dopo la condanna a 12 anni di reclusione per corruzione per l’accusa imputatagli dal giudice Moro, è stato alfine incarcerato alle ore 22.30 (le 4,30 di domenica, in Svizzera) del 7 aprile 2018.

Niente sbarre per l’ex presidente del Brasile (mandato dal 2003 al 2011) ma due agenti che si danno il cambio di guardia alla porta. All’interno, due piccole finestre, un letto, un tavolo e un televisore, il tutto in 15 metri quadri di una cella “di lusso” per gli standard generici.

Il termine ultimo per la consegna era il 13 aprile ma Lula, con una notevole forza d’animo e suicurezza sul proprio ineluttabile fato, si è consegnato con qualche giorno di anticipo, dopo la negazione dell’ultimo ricorso da parte del Supremo Tribunale Federale.

L’offerta, del resto, era allettante per un’uscita di scena dignitosa, nonostante tutto. Niente manette in pubblico, niente arresto succulento per i mass media, ma, in cambio di una spontanea autoconsegna, una reclusione non troppo terribile.

Alcune migliaia di “lulisti” sostenitori dell’ex presidente, hanno occupato il perimetro della sede del sindacato ove Lula si era rifugiato in attesa di consegnarsi. La polizia non ha tentato l’arresto e tutto si è svolto da sé.

“Mi hanno  consigliato” aveva detto Lula, poco prima di consegnarsi “di rifugiarmi all’ambasciata di Bolivia o dell’Uruguay, ma sono troppo vecchio per queste cose.”

Altri sostenitori si sono poi radunati all’ingresso della Sovrintendenza, nella cui base aerea Lula è sbarcato da un aereo scortato da blindati e elicotteri, ma sono stati dispersi a colpi di petardi.

Termina così il secondo atto di un’uscita di scena dell’idolo pacifista delle sinistre mondiali (e mondialiste), con un’indagine per corruzione e l’incarcerazione di un presidente.