Si aprirà il 15 Aprile al museo d’arte di Mendrisio la mostra su Franca Ghitti, una scultrice italiana che iniziò la sua carriera a partire dagli anni ‘50 con mostre che la portarono non solo in Italia, ed in Europa ma anche negli Stati Uniti.e che amava assemblare il legno, gli scarti delle fucine ed i materiali ferroviari più o meno comuni. La mostra creata in collaborazione con la Fondazione che è anche archivio, Franca Ghitti a Cellatica, è a cura di Barbara Malacrida ed Elena Pontiggia che è stata anche la curatrice del libro dedicato alla scultrice italiana presentato alla Triennale di Milano lo scorso anno.

 

E cosi, se la scultrice Ghitti catturava quello che incontrava sul suo percorso e lo rendeva altro creando quello come lei stessa amava definirlo “alfabeto” con gli scarti che riassemblava e rendeva arte, dopo la conclusione della mostra di Cuno amiet, a Mendrisio quindi, si vuole dare risalto a ciò che il museo d’arte si è prefisso da tempo, una geografia dell’arte,  inaugurando così la sua stagione espositiva non solo scegliendo i lavori di una scultrice italiana che molto ha dato all’idea di arte geografica nelle valli (era della Val Camonica tanto che venne spesso definita “camuna” riscoprendola come memoria atavica), ma anche a questo concetto “geografico” dell’arte universale come risonanze dei materiali utilizzati. Se infatti il museo di Mendrisio con la collezione Bolzani, aperta già dal 25 Marzo, ha voluto dare lustro alle opere d’arte del novecento proiettando l’uomo nella natura, è con una donna, una splendida artista italiana purtroppo ancora poco conosciuta al grande pubblico e le sue sculture su cui ora il Museo svizzero punta e pone l’accento al fine non solo di ripercorrere nelle 70 opere il lavoro dell’artista italiana, ma anche ricomporre quell’alfabeto di forme che l’hanno resa famosa in primis con le sue celebri  e bellissime perchè struggenti, almeno per chi scrive,”Pagine Chiodate” .

In particolare nel museo si trovano invece i lavori della serie delle Mappe, le Vicinie, i Tondi, le Edicole e le Madie, il Bosco, e, come recita il comunicato stampa “per poi proseguire con una selezione della produzione in ferro – tra cui gli Alberi vela, le Meridiane, la Pioggia e, nel chiostro del Museo, la Cascata – nella quale l’artista attua un analogo recupero di reperti abbandonati nelle fucine per poi risaldarli in nuove sagome e nuove iconografie. Alle edizioni d’arte – di cui alcune pubblicate con l’amico e celebre editore Vanni Scheiwiller -è invece dedicata una sezione a fine mostra”.

Un viaggio declinato in un percorso emozionale che allieta ed affascina: perchè come la sua arte: “piccola, semplice e vedi che c’è la mano dell’uomo”. Ecco la ricchezza di questa artista molto simile alla sua terra, cosi ricca di incisioni rupestri, in una frase che lei stessa a suo tempo, pronunciò.

Cristina T.Chiochia