“Una sperimentazione scientificamente debole, oltre che costosa”

“Princípi pedagogici orientati verso una concezione ideologica della società”

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Il professor Gerardo Rigozzi è stato mio direttore a Lugano 2, dove negli anni Novanta ho avuto alcune classi, ma che non è mai stata la mia sede di servizio; io insegnavo nel “liceo rosso”, quale docente indubbiamente meno”purpureo” di tanti miei colleghi.

Rigozzi è uno studioso, un filosofo e ha diretto anche la Biblioteca cantonale. Il suo  contributo, che ricevo oggi e immediatamente pubblico, è esemplare per rigore e chiarezza. È molto più scolastico che politico (anche se Rigozzi è da sempre attivo nel PLRT) e prende le mosse da una mia serie di domande (si pensava inizialmente ad un’intervista), che faccio seguire alla fine per dimostrare che anch’io faccio qualcosa e mi impegno.

Hic et nunc la domanda fondamentale (per me) è la seguentr: perché il PLR si è comportato così? Che ragione ne aveva, che vantaggio ne trae? Per il momento la risposta non  l’ho, ma sono certo che la troverò.

Un’analoga domanda si potrebbe porre per il PPD, magari con risposte diverse.

Nessuno dei referendisti, o Manuele, è “fuori di testa”, siine certo. Il Referendum era obbligato, ed è giusto ma direi di più, sacrosanto. Tra l’altro, fornisce a Bertoli una grossa chance: se il Referendisti falliscono, lui se ne esce da trionfatore e PLR e PPD saranno ai suoi piedi.

Ora la parola è a Gerardo. Leggetelo attentamente.

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Tre premesse doverose sull’argomento

La mia avversione contro il progetto “La scuola che verrà” (in seguito Scv) non è dettata da un’opposizione politica, ma dalla mia convinzione che esso è sbagliato negli orientamenti di fondo.

La seconda divergenza nasce dal fatto che il DECS abbia impostato l’intera questione senza un coinvolgimento allargato, checché ne dica il suo direttore: poco coinvolgimento dei docenti e poco rispetto per le posizioni critiche rivolte da più parti. In particolare il PLRT ha sottoposto in sede di consultazione una serie di problemi di fondo, che nel Messaggio sulla sperimentazione vengono bellamente ignorati. Inoltre la sperimentazione proposta è scientificamente alquanto debole, oltre che costosa.

La terza mia posizione critica concerne il dibattito che ne è seguito, specie al riguardo della sperimentazione, dove si ha l’impressione che pochi hanno veramente approfondito i principi che sorreggono la proposta dipartimentale. Il direttore del DECS mi ha accusato pubblicamente di essere sordo alle sue dichiarazioni. Capisco che lui si sia dato da fare politicamente per addolcire la pillola, smussando angoli e linee dirette. Ma è la sostanza che conta, vale a dire ciò che sta scritto nel documento principale e nel Messaggio, volutamente scritti nella “langue de bois”, per dirla con il compianto Lauro Tognola; vale a dire reiterando alla nausea principi pedagogici decisamente orientati verso una concezione ideologica della società; principi che oltretutto vengono ora abbandonati da chi qualche anno fa in altri Paesi pontificava (vedi Philippe Meirieu, autore della riforma Jospin).

Le caratteristiche del progetto Scv

La critica principale che rivolgo al progetto Scv è dovuta al fatto che il DECS, con i suoi pedagogisti, abbia genericamente e sbrigativamente considerato la situazione attuale della nostra scuola come se fosse poco equa, vale a dire una scuola che discrimina anziché orientare gli allievi. Non solo, ma si attribuisce addirittura ai docenti e alle direzioni la colpa di aver ceduto alle pressioni della società nella scelta dei livelli da parte degli allievi e delle famiglie, concludendo che il modello stesso della differenziazione induca a questo disorientamento. Nessuna riflessione sul perché si è arrivati a tanto e soprattutto sulla ricerca dei correttivi per evitare che una gran parte di allievi possa accedere agli studi medio superiori senza averne le capacità.

E allora non si trova niente di meglio che eliminare il presunto ostacolo, vale a dire la differenziazione applicata male, non sulla base di una vera e propria analisi, ma sull’assunto pedagogico che vuole (ideologicamente?) tenere insieme tutti gli allievi per l’intero percorso della scolarità obbligatoria, e che vuole una scuola più equa non selettiva, ma promozionale, fondata sulla promozione di tutti (con buona pace dei genitori e dei loro avvocati): una vera dimissione di responsabilità!

Rimprovero quindi al DECS di non aver avuto il necessario coraggio nell’affrontare la realtà che si è venuta a creare negli anni e soprattutto e nel non aver approfondito le reali esigenze della società che, bene o male, è fortemente competitiva e non può permettersi una formazione di basso livello.

C’è poi un errore di fondo, oltre che costoso, nel voler introdurre tutta una serie di nuovi operatori nella scuola e nel voler frazionare gli orari settimanali in gruppi e sottogruppi, che arrischiano di creare molta confusione, dispersività, e di intralciare il lavoro dei docenti.

Anziché proporre una riforma globale della scuola, il Decs avrebbe fatto meglio proporre i necessari correttivi rispetto ai punti considerati insoddisfacenti da tutti. Valga il monito di un filosofo, tale Plotino di Licopoli (204 – 270 d.C.), che diceva: “… comportati come l’autore di una statua che debba risultare bella: quegli toglie, raschia, leviga, ripulisce, fino a far apparire nella statua un bel viso”.

Inclusione ad ogni costo

Il termine inclusione (parola abusata nel documento dipartimentale) deriva dal lat. “includere” che significa ‘chiudere dentro’, e si oppone a dischiudere, che significa ‘aprire, svelare, manifestare’.

Questo termine, se portato all’eccesso, comporta una visione organicistica, anziché pluralistica, della società. Viene in mente il concetto di “società chiusa” del grande filosofo liberale Karl Popper, quella vagheggiata dai regimi totalitari, in opposizione alla Società aperta, basata sulla centralità dell’individuo, sull’apertura mentale e sul confronto di opinioni diverse, in cui gli uomini sono liberi di assumere il timone della loro vita, liberi di manifestare un atteggiamento critico, liberi di basare le loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza.

Il modello dipartimentale persegue l’inclusione ad ogni costo, con l’obiettivo di privilegiare più i risultati finali da conseguire per tutti, che le condizioni di partenza: “La diversificazione delle strategie d’insegnamento e delle pratiche didattiche è funzionale all’ottenimento di un’eguaglianza dei risultati” (p. 22).

Pretendere che i docenti riescano a individualizzare l’insegnamento è una pia illusione e finisce per caricare su di essi una responsabilità che va ben oltre le loro mansioni e le loro competenze. Se il risultato finale sarà un insuccesso, esso verrà attribuito alla loro incapacità, e questo sarebbe un ulteriore classico e brutto scarico di responsabilità.

In tutti i Cantoni e nella maggior parte dei Paesi europei, per non dire mondiali,  già a partire dai 13/14 anni esiste una diversificazione dei curricoli e dei contenuti a seconda delle caratteristiche degli allievi. Non si possono frenare ragazzi motivati allo studio, né frustrare gli allievi che hanno altri interessi.

Considerate le differenze di motivazioni e di comprensione degli allievi, com’è possibile ottenere risultati simili, se non a scapito del livello dell’insegnamento? Nella Legge della SM, all’Art. 7, cpv. 2, lett. b, si prevede “una parte differenziata di insegnamento nel secondo biennio”. Abolire tale differenziazione semplicemente in nome di una presunta pedagogia inclusiva è rischioso, tanto più che non c’è nessun serio approfondimento della questione e che nel resto della Svizzera essa è prevista ovunque.

Concordo quindi pienamente con il Prof. Zambelloni, persona altamente competente, che su queste colonne ha espresso il forte dubbio di un impoverimento della scuola e di un ulteriore abbassamento del livello qualitativo.

Cito pure, a questo riguardo, un’altra autorevole opinione del Prof. Ernesto Galli della Loggia, che nel “Corriere della Sera” del 29 aprile 2017 così si espresse sull’andamento della scuola italiana, che da noi si vuole imitare: “L’egualitarismo ha rovinato l’istruzione … Le cause sono molte. Di gran lunga la principale è l’ideologia fondata sulla categoria di «inclusione» che da decenni domina la nostra istituzione scolastica. Cioè l’idea che compito della scuola, anche dopo il percorso dell’obbligo, non sia quello di impartire conoscenze e accertare il grado del loro effettivo apprendimento, bensì soprattutto quello di «non lasciare nessuno indietro» .

Una proposta da approfondire

Secondo me bisogna rivedere alcuni approcci didattici e contenuti programmatici dei due livelli ora mal applicati nella SM, ma non certo abolire la diversificazione strutturale. Nel livello 1, più orientato agli studi liceali e agli allievi che hanno una maggiore propensione per lo studio, è giusto puntare sulla matematica e il tedesco, ma anche sull’italiano, inteso come storia della letteratura e come riflessione sulla lingua. Inoltre è giusto richiedere l’acquisizione di determinate competenze (leggasi: media superiore a quella attuale) per accedere in modo più graduale alle scuole medio superiori. Nel livello 2 si dovrebbero invece privilegiare gli aspetti tecnici, che oggi sono fondamentali per i diversi sbocchi professionali, e insegnare l’italiano in modo diverso, più funzionale alla redazione di testi, di lettere o di rapporti. Inoltre si potrebbe privilegiare l’uso intelligente di banche dati specifiche, nonché una maggiore formazione nella lingua inglese.

Il ruolo del pedagogista e del politico

In materia scolastica il pedagogista si occupa della qualità dell’insegnamento, mentre il politico ha il compito di legiferare sugli aspetti di politica generale dell’insegnamento. Purtroppo nella fattispecie c’è stata un invasione di campo da ambo le parti: i pedagogisti, sostenuti dal DECS, hanno fatto passare il messaggio che la qualità dell’insegnamento avvenga attraverso l’inclusione, il tenere tutti insieme gli allievi e possibilmente il promuoverli tutti.

Il politico, dal canto suo, ha rinunciato a dibattere sulle sue prerogative, vale a dire sulle finalità della scuola pubblica e sull’impostazione di quanto prevede la Legge della scuola, che recita all’Art. 58: Gli allievi hanno il diritto di ricevere un insegnamento conforme alle loro caratteristiche individuali”.

Ne è sorta in Gran Consiglio un’intesa fra PLRT, PPD e PS su un’impostazione di due visioni completamente diverse, che non porta da nessuna parte, o perlomeno che rafforza la posizione dipartimentale. Ha fatto bene il PLRT a presentare un modello diverso, ma avrebbe fatto meglio a chiedere al Parlamento di sciogliere la questione: se sperimentare una soluzione uguale per tutti o se sperimentare una soluzione diversa rispetto a quella attuale, ma che consideri positivamente le differenze di motivazione e le attitudini degli allievi. Come andrà a finire? Credo che il DECS avrà buon gioco ad addomesticare le contrapposizioni.

Il referendum

Anch’io credo, come Zambelloni e altre voci critiche che si sono espresse, che la soluzione migliore a questo riguardo sia quella di sentire la volontà popolare, come è avvenuto del resto in vari Cantoni. Nel Canton Ginevra l’opinione popolare ha addirittura preteso una differenziazione in tre filiere nella scuola media, dotate di passerelle e impostate in modo conforme alle attitudini e alle motivazioni degli allievi. Non mi sembra che ci sia stata una levata di scudi contro una presunta discriminazione di classe nella scuola.

Se il referendum avrà successo, come mi auguro, ci sarà la possibilità di approfondire pubblicamente (e non solo nell’ambito del DECS) le questioni ancora aperte, per evitare improvvisazioni e sperimentazioni, che al momento sono ancora assai confuse. Ed è sperabile che in tale evenienza anche il PLRT possa far sentire la sua voce in contrasto sui fondamenti della Scv.

Se il referendum non otterrà le firme necessarie, allora il direttore del DECS potrà dirsi il vero vincitore e il suo modello avrà la via spianata. Dobbiamo rassegnarci a questa prospettiva?

Infine un particolare curioso: ne “laRegione” del 12 aprile ho letto l’opinione di due rappresentanti del “Gruppo Genitori Scv” che inveiscono contro i promotori del referendum, definiti “un esempio poco istruttivo per i nostri giovani” (tra l’altro anche il direttore del DECS ha definito i promotori del referendum dei “fuori testa”), e che ridicolizzano la proposta del PLRT di mantenere e ridefinire le differenziazioni nel secondo biennio della SM. Ebbene questi signori portano a sostegno della loro tesi un’argomentazione che contraddice bellamente la loro posizione: essi affermano infatti che “il continuo incremento dei nuovi corsi A (oggi percentuali attorno al 60-70% di iscritti) ha portato ad un parziale abbassamento della qualità del lavoro ai corsi A, sfavorendo così anche gli allievi più brillanti”.

Ma è proprio quanto il referendum vuole far capire a chi pecca di sordità: se l’attuale situazione al 70% si rivela già sfavorevole per gli “allievi più brillanti” e comporta un “abbassamento della qualità”, figuriamoci in una situazione al 100% dove tutti ricevono lo stesso insegnamento.  

Gerardo Rigozzi già direttore di liceo

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Le domande di Francesco De Maria (sollecitazione, stimolo)

Sul progetto del DECS La scuola che verrà lei si è espresso numerose volte, sempre in modo critico. Faccio anche a lei la domanda che faccio a tutti: che cos’ha di sbagliato questo progetto? (A un fautore domanderei: che cos’ha di buono?)

Il Gran Consiglio ha votato una sperimentazione. Non è ragionevole? Come dire: proviamo, vediamo se funziona. Poi decideremo, dopo i 3 anni sperimentali…

Lei approva il referendum? Lo ha firmato? Lo firmerà?

Morisoli ha detto: il referendum è l’ultima possibilità di bloccare una riforma errata. E se il Comitato non riuscisse a raccogliere le 7000 firme? Ci potrebbe essere un piano B ?

Una riforma del settore obbligatorio (6-15 anni) era ed è necessaria?

Poteva/doveva essere intrapresa prima?

Esiste un piano liberale – organico e strutturato – per una riforma della scuola dell’obbligo?

Questa disputa sul “progetto Bertoli” può essere vista come una puntata dell’eterno confronto destra/sinistra ?

La scuola ticinese è una scuola di classe?

Vorrei portare il discorso sul piano politico. I partiti (cosiddetti) borghesi all’inizio si erano mostrati assai critici, sollevando molte e sostanziali obiezioni, ma alla fine – dopo un lungo e laborioso iter commissionale – all’atto del voto in aula hanno sostenuto compatti il PS. Io le domando: che cosa è successo? Quali mutamenti sostanziali sono avvenuti? Quali accordi sono stati conclusi?

C’è la “variante sperimentale PLR”, che il partito ha ottenuto… Può dirci con precisione come è congegnata?

La vede come una tutela, una garanzia? Un equo confronto tra concetti antitetici?

A suo avviso Bertoli ha fatto delle concessioni al PPD ? Se sì, di quale natura?

Quali personalità politiche (e non) hanno avuto ruoli decisivi in questa complessa vicenda, che è al centro dell’attenzione mediatica ed è in pieno corso?

Per concludere, i referendisti hanno il compito di dimostrare che il parlamento – con le sue complesse dinamiche, i suoi do ut des e le sue consegne di voto – è… lontano dal giudizio e dalla vlontà del popolo. Se vinceranno (e se perderanno) li chiameranno “populisti”. È il loro destino.