Lo storico e controverso spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, atteso con ansia e tensione, ha finalmente avuto luogo. Oggi, in un mare di sangue.

La cerimonia alla sede diplomatica USA è coincisa con i festeggiamenti per i 70 anni dalla nascita dello Stato d’Israele, con l’inevitabile accrescimento della tensione (sino all’esplosione) per la dicotomica contrapposizione tra le rappresaglie di palestinesi in lutto e l’affermazione della propria identità di ebrei festanti.

Alla cerimonia il grande assente è stato tuttavia Trump, che ha delegato la figlia prediletta Ivanka con il marito, il n2 del governo americano Jared Kurshner, ebreo, che assieme al presidente israeliano Netanyahu, hanno inaugurato la nuova sede dell’ambasciata.

“Sono onorata di far parte della delegazione che rappresenta il presidente e il popolo americano” ha scritto Ivanka su Facebook. La figlia del presidente ha scoperto la targa assieme al segretario al tesoro, David Mnuchin, dicendo apertamente “diamo vita oggi alla nuova ambasciata a Gerusalemme, capitale d’Israele.”

La sede, costruita con 400mila dollari, sarà tuttavia provvisoria. E’ al momento situata nell’area residenziale di Arona, nella parte ovest della città, sulla linea verde che nel ’67 divideva la Gerusalemme ebraica da quella palestinese.

“Che giorno fantastico!” ha twettato Netanyahu, ringraziando la Trump family.

L’implicito ma palese riconoscimento di Gerusalemme non come città condivisa coi Palestinesi, bensì come capitale unicamente appartenente a Israele, per storia, tradizione e identità, da parte degli Stati Uniti d’America guidati dal loro 45esimo presidente, filoebraico, the Donald, ha suscitato nel popolo ebraico giubilo ed entusiasmo.

La squadra di calcio del Beitar, sei volte campione del mondo, di proprietà di Eli Tabib e diretta da Eli Ohana, ha aggiunto il cognome del Presidente di Trump per riconoscenza. La squadra, nata nel 1936 e nota per le sue posizioni sioniste revisioniste, aveva in passato suscitato polemiche per l’affermazione del presidente secondo cui egli non avrebbe “mai assunto giocatori mussulmani.”

Fuori, nel frattempo, sfilano migliaia di Palestinesi in protesta. Da lì a poco la protesta sfocerà in un fiume di sangue.