Il Giappone: rispetto degli altri (titolo originale)

Il campionato del mondo di calcio, si avvia verso le fasi finali.  Al di là di quello che succede sul campo verde, è bello vedere come il mondo si muove. Per sostenere la propria squadra, idoli e paese.

In una delle partite,   sugli spalti,  si sono visti anche  30 mila spettatori provenienti da un paese sudamericano.  Improvvido un commento della RSI; “Trattandosi di un paese non affluente: “quanti avranno ipotecato la casa per comprare il pacchetto viaggio…..”. Che liscio….

Stupidaggini a parte, si conferma che il calcio, il tifo, sono un collante con i cittadini in tutte le latitudini e diverse distribuzioni del benessere economico. Sono gioie e dolori: per chi non c’è arrivato al mondiale (l’Italia) o per chi aveva ambizioni di andare avanti oltre….ma alla fine questo è lo sport.

Viene a mente una frase di Kipling impressa  all’ingresso del glorioso Stadio di Wimbledon: “se saprai confrontarti con il trionfo e la sconfitta, e trattare questi due impostori allo stesso modo.”

In altre parola bisogna,  con relatività , saper vincere o perdere. E vedremo in seguito chi vincerà e chi piangerà.

Ma è successa l’altro giorno una cosa – quasi banale – ma che nonostante la sua banalità ha fatto il giro del mondo. L’ho appreso da mio figlio che vive negli USA che mi ha copiato un articolo con fotografie. Penso del The New York Times.   Episodio che campeggiava anche in prima pagina della Gazzetta dello Sport.

Ciò  che ha colpito tutti, sorprendentemente, é la fotografia dello spogliatoio della squadra nazionale del Giappone, vuoto dopo l’uscita degli atleti. Il locale  è immacolato; lo hanno pulito e non hanno lasciato nemmeno un pezzettino di carta, un cerotto, un indumento.   Ed al centro, su di un tavolo, la scritta  “Grazie” (naturalmente in cirillico….).

È risultata essere una cosa inedita: ma come sono i giapponesi? Perché hanno questo senso civico così diverso dal  nostro lassismo e disinteresse per le cose altrui?

In Giappone, dove la notizia è ribaltata, la si è presa con molto orgoglio anche se per loro è una cosa naturale, parte della loro cultura comunitaria. Da noi è stata definita una “lezione di civiltà”. E in realtà lo è.

In Giappone l’evento è un “non evento”.  Basti passare durante il giorno dalla stazione di Tokyo, nonostante transitino al giorno milioni di passeggeri, si potrebbe quasi “mangiare per terra”; tanto la comunità ci tiene a mantenere la pulizia.

Il Giappone è quel paese dove c’è un amore, mito per la pulizia personale. Basterà passeggiare alla sera nei vari” villaggetti” che conpongono la megalopoli di Tokyo. Ad una certa ora si vedono persone con un catino e salvietta che vanno a fare lo “Ofuro”, il bagno, al “Sento”, il bagno pubblico. Che ha tuttora un prezzo politico per essere accessibile anche ai livelli di bassi redditi.  Ma non crediate che si entri nel locale e ci si butti nella vasca in mezzo agli altri sic et simpliciter.

Niente affatto: prima ci si accomoda su uno sgabellino basso di fronte ad un rubinetto con acqua calda a doccia. Poi ci si lava : sapone, shampo e ci si pulisce. Poi nella vasca. E se tu da straniero non rispetti le regole ti invitano a fare quello che fanno loro.

Ed è una lunga tradizione. Il paese ricco di acque, buddista e scintoista con il culto del pulito e trasversale in ogni parte della vita comunitaria. Perchè si mangia con i bastoncini? Perché forchette e cucchiai sono già usati e magari non ben puliti. E potremmo continuare in perpetuo su questa lunga ed interessante storia.

L’episodio ai campionati del mondo, non riflette il desiderio dei figli del Sol Levante di darci una lezione o dei messaggi subliminali: molto più umilmente, i giapponesi hanno fatto quello che fanno normalmente: una dimostrazione di civiltà comunitaria.

Vittorio Volpi