Franco Cavallero non ama le luci della ribalta. È uno studioso riservato e tranquillo, ma la sua dottrina è solida e le sue convinzioni precise. In occasione della dura e vittoriosa battaglia sulla Civica il suo contributo è stato importante.

Oggi la posta in gioco è ancora più alta. La sconfitta liberale del 2011 ha messo la scuola nelle mani dei socialisti e Bertoli, ovviamente, ha elaborato il suo progetto. Era suo diritto. Si poteva bloccarlo in sede parlamentare? Certamente sì, ma i partiti “borghesi” si sono accodati.

La decisione di lanciare il Referendum è stata quanto mai opportuna. Non può essere un errore dare la parola al popolo. Esso viene prima dei politicanti, dei funzionari burocrati e delle “teste d’uovo”.

È giunto il momento di dare la parola a Franco Cavallero. Un’intervista di Francesco De Maria.

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Francesco De Maria  La scuola media unica esiste da 40 anni. Non sarebbe ora di riformarla (insieme alla scuola primaria, già che ci siamo)? 

Franco Cavallero  Va precisato innanzitutto che quella attuale è solo una lontana parente della Scuola media votata dal Gran Consiglio nel 1974, che prometteva un avvenire luminoso al Ticino. Non venne lanciato alcun referendum malgrado molti dubbi, come forse sarebbe stato ragionevole fare. Così il popolo non ha mai avuto occasione di esprimersi sull’importante tema della scuola. In tutti questi anni furono apportati molti cambiamenti “ministeriali”, con l’adozione delle classi eterogenee (un “fiore all’occhiello” della nuova pedagogia), con il passaggio dalle sezioni ai livelli, con le dirompenti spinte verso la licealizzazione. Difficile raccogliere con una bottiglietta il latte versato. Quanto alla Scuola primaria è un altro capitolo che non si è mai voluto affrontare seriamente, anzi la si è finora lasciata andare come vascello tra i flutti. Eppure si tratta della base per le conoscenze elementari.

Lei ha studiato attentamente il progetto della Scuola che verrà. Qual è la filosofia profonda che lo ispira?

Sinteticamente e alquanto illusoriamente, è il voler offrire a tutti le medesime opportunità, senza rendersi conto che i ragazzi non sono uguali. Ciascuno merita di venir considerato come persona, senza pretendere di inscatolarlo in una visione preconfezionata. Non che non si riconoscano le emergenze che si manifestano cammin facendo, ma intanto il concetto di inclusività presente nella teoria viene troppo esteso, spingendo oltremodo la promozionalità della scuola per tutto l’obbligo scolastico, ciò che fa a pugni con l’orientamento.

La Scuola che verrà potrà costituire la base di una modernizzazione efficace e necessaria della scuola dell’obbligo ticinese?

Ritengo proprio di no, innanzitutto per idiosincrasie storiche (la scuola si è mostrata spesso refrattaria a nuovi processi di lavoro), ma anche per la prevalenza di una dottrina pedagogica (chiamiamola così) che ha fatalmente ostacolato le condizioni di sviluppo delle competenze individuali. Queste dipendono essenzialmente dall’accompagnamento che i docenti sono in grado di assicurare agli studenti. Ma quando essi stessi sono in crisi…

Per quali aspetti le intenzioni sono buone e condivisibili? E che cosa il progetto contiene, eventualmente, di errato?

Non si può certo negare che la democraticità della scuola, ben compresa, abbia rappresentato e rappresenti una conquista fondamentale. Diversamente dal passato ognuno ha la possibilità di studiare a lungo, se lo vuole o se è indotto a farlo. Si sono offerte molte strade, ma tutti vedono che manca un avvicinamento e soprattutto un aiuto a far luce di fronte alle difficoltà formative che presto o tardi si presentano. E temo che questo fenomeno si acuirà con la SCV, a dispetto della proclamata apertura verso le esigenze dei ragazzi. I laboratori e gli ateliers prospettati sono ottima cosa, ma a condizione che vi sia anche un insegnamento sistematico delle materie, non ottenibile però riducendo le ore e pretendendo che gli allievi imparino solo facendo.

La nostra scuola, quella che abbiamo, discrimina i ragazzi sulla base del censo? È, per così dire, una “scuola di classe”?

Non credo; in ogni caso non ho elementi che mi permettano di sospettarlo. In particolare alla Scuola media ci vanno tutti, preparati e non preparati, ben disposti e refrattari. Poi accade che certi temi non si possano affrontare e che le classi siano frenate. Questo non impedisce ai ragazzi con molti stimoli a casa (libri, sussidi informatici, aiuto dei genitori) di costruire il loro bagaglio di sapere e di conoscenza. Vogliamo chiamarla “Scuola di classe” o conseguenza di altre realtà?

È una scuola esclusiva, una scuola che abbandona i più deboli al loro destino?

Purtroppo sì, ed è statistico. Non bisogna lasciarsi abbagliare dal millantato novanta e più per cento di giovani che arrivano alla fine di una formazione medio-superiore e/o professionale seppur modesta conseguendo un diploma. Le cifre sarebbero tuttavia ben più convincenti se ci indicassero quanti si fermano prima, non procedono, devono riorientare le scelte. Non va inoltre dimenticato che le esigenze dei curricoli post-obbligatori diventano sempre più marcate conformandosi alle competenze richieste soprattutto nel mondo del lavoro. A tale evoluzione molti non sono preparati, forse anche per ragioni caratteriali, ma innanzitutto per talune carenze che si trascinano dalla scuola dell’obbligo. Nella stessa permangono scelte programmatiche dipendenti da un’altra epoca.

La Scuola che verrà può sedurre un genitore? Se sì, con quali lusinghe?

Francamente non lo so. Può darsi che vi siano genitori abbacinati dalle lusinghe, ma questo è un problema loro. Diverso è il caso dei genitori che condizionati dalle esigenze del lavoro non possono seguire i figli. Potrebbero vivere ancor più nella convinzione che la scuola possa fare tutto e raddrizzare le piante storte. Sarebbe una pessima illusione se la scuola si limitasse a intervenire secondo i criteri della SCV e senza prendere in esame ciò che avviene dalla prima elementare in poi.

Il Comitato di referendum afferma che sono molti i docenti che non approvano La scuola che verrà. A me sembra strano, soprattutto per una ragione: il progetto aumenta la spesa di decine e decine di milioni annui. Questo dovrebbe piacere ai docenti!

Forse il Comitato di referendum li ha incontrati. Personalmente ho solo percepito, “origliando”, un discorso al bar. Erano due docenti che si lamentavano essenzialmente delle accresciute esigenze, della teoria imposta e della difficoltà di far scuola. Quanto ai milioni annui in più penso che potrebbe essere un argomento in mano a coloro che la SCV la vogliono. Ma dovrebbero specificare se una volta realizzata, la SCV di milioni ne richiederà trenta o quaranta ogni anno, oppure duecento. In questo caso il Gran Consiglio farebbe in fretta a non votarli e parimenti la categoria dei docenti non mancherebbe di protestare, sorretta dai Sindacati.

Cinquant’anni sono tanti, tantissimi, soprattutto in un mondo ultraveloce. Le chiedo: la Scuola che verrà ha in sé qualcosa di “sessantottino”?

Credo che nelle alte sfere della scuola si sia assolutamente consapevoli dell’accelerazione del tempo. Le priorità vanno verso lo sfruttamento di opportunità tecnologiche nuove, costi quello che costi, anche prescindendo dalla consapevolezza di chi vi accede. Nessuno, sebbene con il beneficio del dubbio, pensa più a un nuovo avvento del Sessantotto. Con le dovute eccezioni, i giovani di oggi appaiono tutt’altro che sbracati. Amano vestirsi bene, con abiti firmati, seguono l’onda delle mode. Ma al mondo ultraveloce, nessuno li prepara: basta che abbiano in mano un tablet o simile.

Veniamo ai referendisti. Perché opporsi a una sperimentazione di tre anni? A esperimento concluso, se l’esito è negativo, si rinuncia. Che problema c’è?

A questa domanda hanno già risposto validamente altri. A mente mia non esiste nessun caso in cui i progetti della scuola ticinese, anche i più cervellotici, non siano stati finora realizzati, anche contro le messe in guardia degli esperti più insigni. Mi rendo conto che ogni regola può avere la sua eccezione, però aspetto di vederla. Un sano dubbio mi spinge a credere che non si vogliano spendere milioni senza coltivare ambizioni precise (disegni?) e senza porre i paletti affinché esse si realizzino. La strategia viene studiata volta per volta e quando capita è problematico opporsi.

IL PLR (dopo essersi mostrato agli inizi molto critico) ha finito per votare il progetto, a condizione che al “metodo Bertoli” (classi a composizione “casuale”) venisse affiancato un “metodo” PLR con classi a composizione “mirata”. Può illustrarci con precisione questo punto?

Non conosco ciò che è avvenuto all’interno del PLR. Mi meraviglio unicamente del fatto che in tutti questi anni il Partito che ha retto a lungo la Scuola non abbia avuto verso di essa attenzioni maggiori. In francese si direbbe “dépassés par les événements”. L’hanno lasciata andare verso una gestione socialista. Quanto al “metodo” alternativo, il PLR sa benissimo che fin dal 1979 la scuola media è diventata eterogenea: non credo che l’abbiano deciso loro ma forse erano solo in due contro tre… All’atto pratico ci vorrebbe poco a dir loro di non far inceppare un ingranaggio collaudato.

Restiamo sul politico. Anche il PPD ha votato la Scuola che verrà…

Qui posso esprimermi di più, avendo anche fatto parte, negli Anni ’80, della commissione scolastica interna di detto Partito. Allora chi si distanziava dalla posizione ufficiale dei cooptati veniva senz’altro isolato. Magari gli sorridevano ma lo isolavano. Il “cutrettolismo” del PPD, mi si passi il termine, è proverbiale, nel senso che si agitano come cutrettole per i princìpi teorici. Talvolta arrivano a opporsi a un progetto sbagliato con argomenti seri a noi graditi, tanto seri che è capitato che inviassi loro i complimenti. Poi, a relativamente breve distanza di tempo, si rimangiano il tutto e vanno sulla sponda opposta.

Di fronte a uno schieramento tri-partitico così forte, come si potrà vincere la battaglia il 23 settembre? Suggerisca una strategia…

È prevedibile che quando i Comitati cantonali dei Partiti si esprimeranno, il voto di fedeltà la farà da padrone, nessuno di noi però è in grado di immaginare in quale misura. La strategia contro la SCV può consistere solo in una informazione precisa e dettagliata su quanto la scuola ha determinato negativamente in questi decenni, nonché e soprattutto rendendo credibile il desiderio di cambiare, ma non nel senso auspicato dal progetto del DECS. Per ora serve solo un “no”.

Si farà campagna in luglio e agosto? Gli opinionisti scriveranno dal mare e dai monti? (Io già le scrivo dai monti…) E settembre sfumerà in un battibaleno…

Il tempo a disposizione è certo condizionato. Del resto, potrebbe essere una strategia quella dei partigiani della SCV di tacere durante il solleone per poi scatenarsi nelle ultime settimane. Trovo che importante sarà ribattere alle argomentazioni colpo su colpo, ma soprattutto respingere ogni mistificazione.

La posizione della Destra, che ha sempre avversato la scuola media unica, è oggi imbarazzante. È forse costretta a difendere lo status quo?

Purtroppo sì: votando “no” non cambia ancora nulla. Resteranno i livelli, che nemmeno per noi sono il massimo. Valga la considerazione che a quella novella legislativa ci eravamo opposti già nel 1986, con il risultato di venire educatamente ridicolizzati. Ma bisogna capire che con i livelli (chiamiamoli “livellini” perché sono solo in due materie) siamo sempre e solo sul margine dell’abisso. Con le belle novità che si manifesterebbero in virtù della SCV andremmo ben oltre, verso l’incapacità dei docenti di interpretare e svolgere un programma, in un contesto dove l’eterogeneità e il vivere alla giornata raggiungerebbero il massimo fulgore.

Secondo lei ci saranno dei docenti in carica che accetteranno di esporsi in favore del referendum? Quanti? Quali? Diciamocelo tra noi, da “emeriti”… è tutto più facile!

Lo escludo perché dovrebbe succedere una sorta di miracolo. Non la chiamo “casta” ma difesa dell’acquisito e dell’acquisibile. Naturalmente c’è chi farà la voce più grossa, magari con prese di posizione inverosimili. Ma questo non ci impedisce di batterci per la causa giusta, anzi come per la Civica questo renderà la nostra auspicata impresa ancor più bella. Ovviamente non basta dire di no. La strada davanti per una scuola migliore è lunga, irta di ostacoli, che però occorre affrontare e vincere. L’apporto dei docenti attivi è indispensabile. Lo facciano come possono, ma lo facciano.

Esclusiva di Ticinolive