Tratto da un articolo di Alessio Mannino, segnalato da Claudio Martinotti Doria.
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Molto francamente, noi pensiamo che questa società di “dignitosi angeli” non funzionerà MAI, ma diamo spazio all’autore.
“Stroncare l’infelicità”, un vasto programma! Persino Dio nei suoi momenti di grazia si troverebbe in difficoltà.
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Stakanov

(,,,)  Il reddito di cittadinanza à la Di Maio, scatena accuse demenziali di alimentare il fannullonismo nazionale.

Il giusto e il sacrosanto, almeno a parere di chi scrive, sta nel cuore ideale di un reddito connesso al solo fatto in sé di essere cittadino di uno Stato: poter vivere dignitosamente. E’ questa, e soltanto questa, la stabilità a cui un membro della comunità in quanto tale deve avere accesso come diritto. Non è il lavoro, inteso come impiego, il bene supremo. Ma la dignità. Che è data dalla cittadinanza, ipso facto. Altrimenti che senso avrebbe il dovere di solidarietà fra concittadini? Andrebbe a farsi benedire alla fonte battesimale del cosmopolitismo marcio, quello per cui siamo tutti “uguali” nel mondo: uguali perché uomini-merci, bestiame da produzione, pezzi interscambiabili sul mercato globale dell’umanità ridotta a statistica e indice di crescita economica.

E allora che il singolo occupato sia “flessibile”, importa relativamente. Quel che va stroncata è la precarietà esistenziale, cioè la condizione di disagio, stress, infelicità e a volte disperazione che la mancanza di certezze sulla propria serenità materiale si porta dietro, causa la corrispondente assenza di sicurezza sociale. Di qui la necessità – doverosa, in un concetto di Stato come comunità – di sussistenza in caso di cadute nel vuoto. Non a pioggia: fanno bene i grillini a circoscriverlo ad un attivo reinserimento individuale nel mondo lavorativo. Ma che ci voglia, che sia una conseguenza di un ritrovato sentimento di Giustizia (scusate la maiuscola, ma qua ci sta), per chi sia schierato dalla parte di un umanesimo tutto da riconquistare, a mio avviso non ci piove.

A meno di non continuare a considerare il Lavoro un totem e un tabù («La Repubblica fondata sul lavoro»: ma va là), anziché tornare a prenderlo per il verso che merita: come un mezzo per l’autodeterminazione, una delle varie funzioni con cui un uomo o una donna bennati realizzano sé stessi e si fanno posto nel fugace passaggio su questa Terra. E non ci si venga a parlare di coperture finanziarie, per piacere: siamo forse nella prima era storica in cui sono disponibili abbastanza risorse per provvedere ai bisogni di tutti. (…)
Alessio Mannino