Recensione di Enrico Valsangiacomo (parte II)

Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori Saggi, 2015 (Oscar 2017)  

Conclusione 1 – Democrazia

Arrivato a questo punto il lettore europeo rimane alquanto perplesso sul disegno di ordine mondiale americano. Piú d’uno sono i motivi, ma ci limitiamo a citarne un paio. Il primo riguarda le ‘forme di governo partecipativo’ che Kissinger vorrebbe generalizzare al mondo intero. Se la Cina « respinge la tesi che l’ordine globale sia favorito dalla diffusione della democrazia liberale e che la comunità internazionale abbia il dovere di promuoverla » l’America sarebbe davvero pronta a rischiare un conflitto in virtú del fatto che gli Stati Uniti « alla luce della loro storia e delle convinzioni del loro popolo non potranno mai abbandonare del tutto questi principi » ? Prendiamo atto che gli Stati Uniti « possono anche riuscire ad adeguare l’applicazione del loro punto di vista sui diritti umani in relazione alle priorità strategiche », ma da che cosa è ispirato insomma il loro atteggiamento: dallo spirito democratico e tollerante o da quello di sopraffazione ? Un conflitto tra USA e Cina avrà di certo ricadute sulla popolazione cinese e su buona parte del resto del mondo. Non sarebbe meglio lasciare gli Stati evolvere ognuno secondo la propria dinamica ? L’insofferenza di Kissinger per il sistema vestfaliano, oltre che per le ragioni suesposte, non sarebbe anche nutrita dall’ambizione di garantire all’America la suprermazia mondiale ? Che dire poi della tanto declamata ‘democrazia’ : quella svizzera ha una valenza nettamente superiore a quella americana, perché se il popolo di questo paese avesse anche lui il diritto d’iniziativa e di referendum, molti americani residenti in Svizzera non avrebbero rinunciato negli ultimi anni al passaporto !

Conclusione 2 – Europa

Un altro motivo, strettamente legato al primo, concerne l’Europa, la quale occupa un posto a parte nel libro ed è oggetto di considerazioni ambivalenti. Intanto va detto che l’intervento di Wilson in Europa sul finire della Prima guerra mondiale per imporre alla Germania la ‘morale democratica’ americana ha fatto non pochi danni all’Europa. Se è vero quel che afferma Kissinger, e cioè se Theodore Roosevelt avesse di nuovo vinto le elezioni nel 1912 al posto di Wilson, avrebbe introdotto l’America nel sistema vestfaliano dell’ordine mondiale e cercato una conclusione piú rapida della guerra, accettando di negoziare quando la Germania mandò un segnale in tal senso; allora quest’ultima non sarebbe stata schiacciata e umiliata come lo fu, si sarebbero evitate ulteriori distruzioni e scoraggiati futuri avventurismi e il corso della storia in Europa sarebbe stato diverso! D’altra parte, aggiungiamo noi, nel 1914 anche la repubblicana e democratica Francia era animata da uno spirito ferocemente bellico (e revanscista !) non di certo inferiore alla bellicosità della monarchica Germania. Il sistema governativo, quindi, non c’entra, bensí le disposizioni d’animo e d’intelletto dei governanti. Wilson porta una grave responsabilità davanti alla storia per aver distrutto un sistema di governo (che i Tedeschi avrebbero senza difficoltà adeguato a quello inglese) per imporre con prepotenza la ‘democrazia repubblicana’. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa è stata continuamente incitata dall’America a realizzare gli ‘Stati Uniti d’Europa’. Ebbene, l’Europa che l’America sognava dai tempi della Guerra fredda di avere come partner geostrategico contro il blocco comunista, una volta caduto il comunismo ha accelerato il processo di unificazione politica, pure gradito da Washington. Per essere precisi, in seguito alla riunificazione tedesca dell’ottobre 1990 che ha modificato l’equilibrio tra Francia e Germania – quest’ultima (ri)diventando lo Stato piú forte del continente – il cancelliere Kohl ha teso la mano al presidente Mitterrand proponendo, per rassicurarlo, una rapida marcia verso l’Unione politica dell’Europa, celebrata il 9 febbraio 1992 a Maastricht. E cosí, i due ‘nemici ereditari’, di cui l’uno ne aveva abbastanza di farsi invadere e l’altro ha intuito che aveva tutto da guadagnare, hanno deciso di sotterrare l’ascia di guerra fino al Giudizio universale, e per causa loro le nazioni europee (comprese quelle neutrali) sono state messe sotto la cappa plumbea di una struttura sovranazionale antidemocratica, che si avvale di una burocrazia costosa e opprimente, e che Kissinger descrive cosí : un’Unione che « riduce la sovranità dei suoi Stati membri e le loro tradizionali funzioni governative, come il controllo della moneta e dei confini. (…) in molti paesi le obiezioni alla politica dell’Unione sono diventate il principale problema interno. Il risultato è un ibrido (…) una burocrazia che contrasta con la democrazia. (…) In politica estera abbraccia ideali universali, senza avere i mezzi per farli valere, e un’identità cosmopolita che confligge con le fedeltà nazionali (…). Le politiche dell’Unione patrocinano un’apertura tollerante, che si avvicina alla riluttanza ad affermare i valori caratteristici dell’Occidente, proprio mentre gli Stati membri praticano politiche alimentate dai timori di influenze non europee. Il risultato è un ciclo che mette alla prova la legittimità dell’Unione stessa. Gli Stati europei hanno ceduto porzioni significative di quella che un tempo era considerata la loro autorità sovrana. Dal momento che i leader europei sono ancora legittimati, o rifiutati, da processi democratici nazionali, sono tentati di condurre politiche d’interesse nazionale e, di conseguenza, permangono contrasti tra le varie regioni d’Europa… ». E via di questo passo. Dopo tali giudizi qualsiasi lettore di questo mondo penserebbe che l’Unione europea è una costruzione invisa a Kissinger, il quale si affretterebbe a chiedere al suo presidente d’intervenire per apportare nuovamente la democrazia in Europa ! Invece no, per Kissinger l’importante è che l’Europa realizzi rapidamente il suo progetto per diventare finalmente un’entità capace di « incidere sulle realtà geopolitiche » in veste di membro della Comunità atlantica. Per questo motivo gli Stati Uniti hanno « tutte le ragioni di sostenere l’Unione europea e di evitare la sua deriva in un vuoto geopolitico ». Kissinger auspica poi che l’Europa diventi un blocco regionale perché «il mondo sta andando verso la formazione di blocchi regionali che svolgeranno il ruolo degli Stati nel sistema vestfaliano ».

Come accettare un simile progetto che prevede la trasformazione dell’Europa – e la distruzione delle sue culture – in un ibrido ‘americano’, ridotta a pedina geostrategica della ‘partita a scacchi’ che l’America immagina di dover giocare contro Russia e Cina ? Kissinger si sbaglia di grosso quando scrive che l’Europa si trova « sospesa tra un passato che cerca di superare e un futuro che non ha ancora definito ». Se lo spirito democratico americano dovesse di nuovo spirare in lui si accorgerebbe che è solo l’attuale élite politica antidemocratica europea che cerca con tutti i mezzi (anche con l’immigrazione di massa ?) di affossare il nostro passato, e se non riesce a definire il futuro è perché lo vuol definire escludendo dal concetto ‘Europa’ le sue componenti fondamentali : libertà e democrazia. Nell’ultima pagina del suo libro Kissinger dice che « il significato della storia è una cosa da scoprire ». Ebbene, secondo lui, studioso del Congresso di Vienna e dell’Europa post napoleonica, la cecità di Metternich e della Santa Alleanza di fronte ai moti nazionali europei non ha un significato premonitore per il presente ? Riconosciamo tuttavia a Kissinger il merito di aver intuito qualcosa di essenziale per uno statista che vuol governare bene ; ecco come lo esprime : « La tradizione conta, perché non è dato alle società di procedere nella storia come se non avessero un passato e come se qualunque linea d’azione fosse loro accessibile. Esse possono deviare dalla precedente traiettoria soltanto entro un margine limitato. I grandi statisti operano sul limite esterno di tale margine. Se non gli si avvicinano a sufficienza, la società ristagna. Se lo superano, perdono la capacità di plasmare la posterità ». Pertanto gli statisti europei del 1992 e i loro successori non solo hanno superato questo margine ma l’hanno completamente perso di vista ! Ciò detto, proprio perché l’ordine americano è pieno d’ambiguità e di contraddizioni, concludiamo dicendo : Dio ce ne guardi !

Postilla « elvetica »

Grazie a Kissinger il lettore viene a sapere che l’inviato svizzero ai negoziati per la Pace di Vestfalia nel 1648 «alloggiava sopra la bottega di un tessitore di lana in una stanza che puzzava di salsiccia e di olio di pesce». Questo aneddoto, banale, ridicolo, è l’unica occasione per l’autore di parlare della Svizzera. Ce ne sarebbe stata però un’altra, piú importante e piú interessante, quando si sofferma sul Congresso di Vienna del 1815. Infatti, al termine dei negoziati di pace di cui questo Congresso era l’arena, il trattato di Parigi, firmato dalle potenze europee il 20 novembre 1815, dichiarava che «l’inviolabilité de la Suisse et son indépendance de toute influence étrangère sont dans les vrais intérêts de la politique de l’Europe entière», clausola che nel diritto internazionale dell’epoca equivaleva a riconoscere la sua neutralità. Kissinger afferma invece che fu a Londra nel 1830 che si parlò per la prima volta di neutralità, quando le potenze europee colà riunite riconobbero l’indipendenza del Belgio proclamandolo neutro. Decisione sicuramente importante che gli permette di spiegare perché nel 1914 la sua violazione provocò l’entrata in guerra dell’Inghilterra; ma è inesatto affermare, come fa Kissinger, che nel 1830 la neutralità era un «concetto fino ad allora sconosciuto».

Nota sulla traduzione italiana

Nel complesso buona, anche se si sente che il traduttore non ha avuto abbastanza tempo per ricontrollare con calma il testo; non son poche le frasi che aderiscono troppo all’originale inglese rendendo velato il senso e lo stile intricato e per niente italiano. Se questo libro venisse ripubblicato (ne val la pena perché è piú istruttivo di tanti libri di storia e costituisce uno dei piú chiari esempi della concezione americana su come dovrebbe funzionare il mondo) sarebbe bene che il traduttore abbia tempo a sufficienza per rivedere quelle pagine che, in precedenza, ha dovuto tradurre di gran carriera per rispettare i termini del contratto.

Enrico Valsangiacomo, Marin-Epagnier, luglio 2018