CINA 996 : PLAIN FIELD ? (titolo originale)

Una fonte autorevole come il Financial Times – di solito molto affidabile – apre uno squarcio su come funziona l’economia cinese contemporanea.  Con un lungo editoriale dal titolo ”The party of the future”(20 luglio scorso), il quotidiano inglese apre una visione, ben documentata, sul funzionamento dell’economia del Paese che si definisce “economia di mercato con caratteristiche cinesi”.

E il giornale fornisce molte verità sui meccanismi societari cinesi (e sulle loro caratteristiche); in sostanza, la Cina è un “mercato” con 50 mila aziende statali che danno lavoro a 20 milioni di addetti. I ritmi di lavoro di queste imprese sarebbero di “996”, 9 ore lavorate, dalle 9 del mattino alle 9 di sera, cioè per 6 giorni alla settimana. Non ci è dato sapere quanti giorni di vacanze annuali.

Appare anche che dopo la crisi mondiale del 2008, il “mantra” cinese, ha dato la priorità non alla privatizzazione, ma bensì, al contrario, allo slogan “Advance of the state, retreat of the private” (più Stato, meno privato).

In altre parole siamo di fronte ad una realtà molto diversa dal mondo occidentale, anche se quest’ultimo ha pure presenze di situazioni spurie. Aziende apparentemente private, sostenute in modi indiretti dallo stato, ma parliamo sempre di eccezioni. Mentre in Cina la situazione è veramente diversa.

Lo scrittore Fraser Howie, famoso per il suo saggio “Red Capitalism”, sostiene infatti che: “ non essere azienda statale non significa essere un’azienda Privata. C’è sempre in Cina un confine opaco fra stato e privato e la situazione tende a rendere il confine sempre più invisibile.”

Nel cosiddetto settore privato, si contano molti milionari. Risulta secondo una rivista americana che ci siano oggi più imprese che fatturano 1 miliardo di dollari in Cina rispetto agli Stati Uniti. Ma sarebbero imprenditori comunque “molto sottomessi”, si sostiene.

Fa testo il recente caso del miliardario Wu Xiaohui, azionista di Anbang (settore assicurativo) che si è preso una condanna di 18 anni “per frode”. Lo Stato, è assodato , guarda con sospetto imprenditori dai profili alti che potrebbero essere un “challenge “ allo Stato.

Dopo 40 anni di “market based economic reforms” il Partito Comunista Cinese (PCC) che forma il Governo, ha posto più enfasi sul mantenimento del controllo dello Stato, in particolare nei settori Finanza-Energia-Media.

È noto che la “Trimurti” “Baidu-Alibaba-Tencent” non solo segue le indicazioni statali, ma addirittura mantiene laboratori di ricerca con le agenzie statali a confermare la perfetta integrazione Stato-Imprese. Viene inoltre rilevato che ogni azienda “privata” deve avere un “suo comitato del partito” che consenta “al PCC di monitorare che cosa succede nelle imprese private.

Appare evidente che un sistema siffatto, pur rispettando la Cina e il suo modello economico, non sia compatibile con l’Occidente, senza comprenderlo e prendere contromisure quando si commercia o si fanno joint ventures, si opera in una situazione sbilanciata.

Una regola fondamentale – e l’ho vista applicata in modo spietato da Washington nei confronti del Giappone – è il cosiddetto “Plain field (cioè sullo stesso piano, livello).”

Possiamo commerciare senza problemi quando condividiamo gli stessi principi e siamo simili, ma in un mondo, possiamo dire post globalizzato, anche se meno globale di quello che è stato negli ultimi decenni , è sempre più indispensabile approfondire ed esercitare necessarie cautele e controlli.

Ricordiamoci anche che spesso in Cina non viene concessa la reciprocità, altra regola cardine. E’ noto che fanno più male le regole paratariffarie, di quelle basate sui dazi doganali. Per la prova del nove, basterà ricordare ed osservare nella Repubblica Popolare la quasi esclusione di Facebook, Twitter e Googles……

Domanda: ma Trump ha così torto nel guardare in profondità l’essenza dei rapporti di affari con la Cina ed altri?…..

Vittorio Volpi