Il Festival di Locarno ha molteplici sfaccettature che lo rendono uno degli eventi più attesi dell’anno nel nostro Cantone e oltre. Ma se si dovesse scegliere qualcosa che più lo caratterizza, sul podio troveremmo senz’altro l’atmosfera che si respira. Sarà l’ambiente internazionale, sarà quel gradevole sentore di cultura, sarà il buio delle sale e l’attesa di qualcosa di nuovo da scoprire, una cosa è certa: il Festival ha un’identità forte e magnetica che richiama a sé persone da tutto il mondo e riempie le vie di Locarno colorandole di nero e giallo.

Ben 293 film sono stati proiettati quest’anno nelle varie sale di cui 15 hanno partecipato al Concorso internazionale concorrendo per il Pardo d’oro. Il vincitore è Yeo Siew Hua con il suo “A Land Imagined”, che ha mostrato il lato decisamente poco glamour di Singapore con una tecnica invidiabile e una fotografia mozzafiato. Tra nuove terre che nascono dal nulla e le colorate sale giochi, un poliziotto indaga sulla scomparsa di un operaio cinese immergendosi in un mondo fatto di sfruttamento, duro lavoro e squallide stanze condivise con colleghi sconosciuti. Nonostante lo spietato realismo messo in scena, il regista non rinuncia alla caratteristica più coinvolgente che contraddistingue i lavori asiatici: atmosfere oniriche e rarefatte in cui realtà e sogno si mescolano in un turbinio dove i contorni di ciò che accade davvero e ciò che si è solo immaginato diventano inconsistenti e in fondo poco importanti.

Il Premio speciale della giuria invece va a “M”, documentario di Yolanda Zauberman che porta lo spettatore in una realtà lontana dagli occhi indiscreti, nelle vite controllate dalla religione degli ebrei ultrsortodossi di Bnei Brak. A farci da guida Menahem Lang, giovane attore originario di Bnei Brak, scappato da casa e dal proprio popolo dopo ripetute violenze sessuali subite da bambino. Parlando fluentemente in yiddish, Menahem ci porta nel cuore delle contraddizioni di una comunità chiusa al mondo dove la piaga della pedofilia è onnipresente. “A me non interessavano le statistiche, non mi interessava un film sulle vittime. Mi interessava confrontarmi con le ambivalenze all’interno di una società come dell’animo umano” afferma la regista, descrivendo perfettamente l’atmosfera che permea la sua pellicola, in cui vittima e carnefice a volte sono la stessa persona. La Zauberman trova poi la conclusione perfetta per la sua opera: “Kafka ha scritto ‘Io sto tra la mia gente con il coltello per aggredirla, io sto tra la mia gente con il coltello per proteggerla’. Ecco, questo film è il mio coltello”.

Due opere che colpiscono e che in fondo racchiudono quello che è forse uno degli aspetti più interessanti del Festival: attraverso i film ci si trova proiettati in realtà sconosciute di persone lontane, ogni volta che le luci si spengono e il silenzio cala ci si immerge in un viaggio lungo e variegato. Talvolta è un viaggio noioso, altre volte è disturbante e spiacevole ma spesso è un cammino disseminato di novità sconvolgenti ed emozioni familiari, lungo il quale si conoscono personaggi così diversi da noi per cultura e lingua ma così simili per ciò che nascondono nel profondo dell’animo.

Soddisfatto il direttore Carlo Chatrian, alla sua ultima esperienza col Festival, parla di un’edizione “ricca e diversificata”: “Nella ricerca estetica di una forma adeguata a una realtà che cambia rapidamente, dove le immagini sembrano onnipresenti, i film premiati raccontano di un mondo dove l’uomo è ancora la misura di tutte le cose. Le giurie hanno premiato 12 donne – fra cui due registe svizzere – su 25 riconoscimenti. La 71esima edizione ha confermato che Locarno è un festival dove si progetta il futuro”.

L’ultimo giorno del Festival, per chi lo frequenta assiduamente, è sempre un po’ malinconico, come la fine di ogni vacanza. Consolante invece è la certezza di ritrovarlo la prossima estate, dal 7 al 17 agosto 2019, quando riprenderà vita animando nuovamente l’estate ticinese.