Comunicato stampa del sindacato Unia Ticino inerente la decisione del Consiglio svizzero della Stampa

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Bisogna tornare indietro con la mente di quasi un anno, a quell’autunno 2017 durante il quale il consigliere di Stato PPD on. Beltraminelli fu fatto segno ad attacchi reiterati e spietati (ci permettiamo di ricordare che la vicenda non è affatto conclusa; in particolare la Commissione parlamentare d’inchiesta tace, in un silenzio di tomba).

Le rivelazioni del Corriere assunsero l’aspetto di un “contrattacco” di Beltraminelli, che – a nostro giudizio – fallì. Oggi viene esibita questa “condanna” ma occorre tener presente che per essa possono sussistere motivazioni politiche. In altri termini, non è come calcolare una radice quadrata con 5 decimali esatti. Le sensibilità e il feeling possono influire sulla valutazione.

Sarà interessante osservare se il CdT replicherà.

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Il Consiglio svizzero della Stampa, accogliendo i reclami presentati dal sindacato Unia e da altri ricorrenti, ha confermato che il Corriere del Ticino ha violato più disposizioni della Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista e delle relative Direttive, pubblicando nell’ottobre 2017 nomi e circostanze attinenti alla sfera privata di due ex dipendenti della società di sicurezza Argo 1, che si erano rivolti a Unia per denunciare mancati versamenti salariali e altre irregolarità e che erano stati sostenuti e incoraggiati dallo stesso sindacato a rendere testimonianza presso Ministero pubblico e che per questo sono stati accusati dal quotidiano di aver agito come “infiltrati”, cioè di avere avuto da Unia l’incarico di spiare l’impresa per cui lavoravano.

Un addebito falso e grave a sostegno del quale il Cdt non è stato in grado di offrire alcuna prova, afferma il Consiglio della Stampa rilevando il «mancato rispetto della verità» e rimproverandogli di essere venuto meno al «dovere di ascolto in caso di addebiti gravi», non avendo «neppure tentato di sentire uno di loro o tutti e due prima di pubblicare accuse gravi nei loro confronti, citarli per nome» e, in un caso, segnalando fatti privati che nulla avevano a che fare con la vicenda Argo 1. Il Consiglio della Stampa ha infine sentenziato, confermando le motivazioni del ricorso di Unia, che la menzione del nome di uno dei testimoni è da ritenersi illecita in quanto non era dato «un interesse prevalente alla pubblicazione».

Il sindacato Unia Ticino prende atto con soddisfazione della decisione del Consiglio svizzero della stampa, anche per l’importanza che rivestono le testimonianze dei lavoratori nell’azione di contrasto della criminalità d’impresa. Testimonianze che, per ovvi motivi, sono già di per sé difficili da strappare e che servizi giornalistici come quelli in oggetto, che fanno passare i testimoni di giustizia come dei colpevoli sbattendo i loro nomi in prima pagina, rendono ancora più difficili.

UNIA TICINO