(dalla Regione e dal blog personale del consigliere di Stato)

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Ricordiamo che domani 3 settembre alle ore 10 il Comitato di referendum terrà la sua conferenza stampa alla Bricola di Rivera. L’interesse dei media è salito rapidamente ad alti livelli e si prevede una forte affluenza.

Il professor Gerardo Rigozzi, esponente del PLR, già direttore del Liceo di Lugano 2 e della Biblioteca cantonale, è, con il professor Franco Zambelloni, tra i principali “contestatori” del progetto Bertoli.

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Rispondo volentieri alla riflessione di Gerardo Rigozzi a proposito del progetto “La scuola che verrà” pubblicata su questo giornale [laRegione] il 30 agosto. Convengo che, dopo la disinformazione propinata da alcuni referendisti, quelle che pone Rigozzi sono questioni legittime, seppur in parte fuori tema e condite da qualche imprecisione e forzatura.
Le domande fuori tema sono quelle riguardanti i requisiti che devono avere gli allievi per accedere senza troppe difficoltà agli studi liceali e le conoscenze e attitudini che devono avere gli allievi per frequentare le varie scuole professionali. In effetti, queste questioni riguardano il “cosa” si insegna e sono definite dai piani di studio, che non sono né tema né oggetto della riforma organizzativa della scuola la cui sperimentazione è in votazione il 23 settembre.

La questione di “cosa” si insegna oggi e di cosa si insegnerà domani alla scuola dell’obbligo, di quali discipline e al loro interno quali specifiche competenze disciplinari e quali competenze trasversali vanno approfondite e padroneggiate dagli allievi, è una questione importante su cui si sta lavorando da anni, prima con la redazione del piano di studio (2011-2015), ora nel lungo lavoro di implementazione (dal 2015). Lo stesso vale per i piani di studio delle scuole postobbligatorie, che sono già ben definiti, anche se vi sono delle evoluzioni alle quali anche il settore obbligatorio dovrà prestare attenzione affinché l’insieme delle richieste agli allievi siano coerenti. Tutto questo però – ribadisco – non è oggetto di discussione per la votazione del 23 settembre. I temi vanno distinti e affrontati uno alla volta, con ordine.

“La scuola che verrà” si occupa del “come”, dell’organizzazione dell’insegnamento, affinché il percorso alla scuola dell’obbligo sia più vicino al ritmo di apprendimento degli allievi, i quali sono diversi tra loro. L’obiettivo è mettere gli allievi in condizioni migliori per permetter loro di imparare ciò che il piano di studio prevede grazie a una maggiore vicinanza tra docenti e allievi. Questo, proprio affinché questi ultimi possano costruirsi il bagaglio migliore possibile, acquisendo quegli “strumenti prioritari per un inserimento positivo e critico nella società” a cui faceva cenno il mio interlocutore.

Nel suo articolo Rigozzi suggerisce che con la riforma si passerebbe a una scuola che “sballotta” gli allievi “da un gruppo all’altro, da un docente all’altro, da corsi in comune, ai laboratori, agli atelier, alle settimane progetto, ai corsi polisportivi, alle settimane verdi e bianche, e così via”. Questa lettura è una forzatura. La scuola attuale conosce già bene questa articolazione e tutti gli elementi sopra elencati che la compongono sono largamente apprezzati e sussistono da ben prima del mio arrivo alla direzione del Decs (salvo la forma dell’atelier con docente titolare e di sostegno, che è l’unica vera novità). Il riferimento alla sindrome della “demenza digitale”, sindrome che colpisce alcuni giovani dediti all’uso eccessivo dei media digitali a causa della sovrastimolazione dovuta agli elementi presenti sullo schermo, con tutto ciò non c’entra proprio nulla.

Il progetto di riforma non sballotta nessuno, propone semmai una migliore complementarità e un rafforzamento delle buone pratiche già in atto, a tutto vantaggio degli allievi e del loro apprendimento. I laboratori, ore in cui il docente incontra metà classe per volta e può quindi lavorare in maniera più mirata con solo 10-12 allievi, saranno potenziati (da 4 ore a 24). Le giornate progetto aumenteranno, così come l’ampliamento delle opzioni e la co-docenza, oggi molto parziale, che verrà sostenuta. Tutte queste sono cose che la nostra scuola conosce bene e che se articolate correttamente, mettendo gli allievi nelle condizioni di essere seguiti più da vicino dagli insegnanti in base alle proprie caratteristiche e bisogni, potrà elevarne la qualità.

Rigozzi chiede cosa deve fare la scuola per soddisfare gli interessi e le capacità degli allievi dopo 7 anni di scuola indifferenziata, ma anche questa domanda è mal posta. Innanzitutto di anni di scuola dell’obbligo in Ticino ce ne sono 11 e non 7. E poi, come dovrebbe ormai sapere, il progetto che si intende sperimentare supera la separazione degli allievi in livelli A e B in III e IV media, ma non abolisce affatto la differenziazione pedagogica, anzi, permette di differenziare più efficacemente. “La scuola che verrà” propone delle misure concrete in tal senso, quali le ore-lezione a metà classe o con doppio docente (che passeranno dal 4 al 34% delle ore complessive di lezione alle scuole medie, con un picco del 50% in IV media). Questa e altre misure mettono i docenti nella posizione di poter considerare meglio e già dalla I media le differenze tra gli allievi, senza doverli però separare formalmente ed etichettarli come accade oggi con i livelli.

Provo un poco di tristezza per il disprezzo che Rigozzi manifesta nel suo scritto per la formazione continua degli insegnanti, tristezza che viene anche dal fatto che la prima volta che lo incontrai lui era docente alla Scuola magistrale, quindi, secondo il suo dire, uno di quegli “esperti che non hanno mai messo piede in una classe di scuola dell’obbligo e non avrebbero nulla da dire ai docenti”, mentre io ero allievo. Proprio alla Magistrale ho imparato cosa sia la differenziazione pedagogica degli allievi in classe: io non me lo sono dimenticato, Rigozzi purtroppo sembra di sì.
Un ultimo punto è importante. Il coinvolgimento c’è stato, grazie a due consultazioni pubbliche che hanno permesso di migliorare considerevolmente il progetto inizialmente proposto grazie in particolare ai numerosi suggerimenti degli attori scolastici. Il 23 settembre si tratta di votare sulla sperimentazione. Mettere alla prova le misure proposte è l’unico modo per raccogliere dati utili per valutare precisamente la loro efficacia e continuare così nel fondamentale processo di continuo miglioramento della nostra scuola.

Manuele Bertoli