Il prossimo 23 settembre saremo chiamati a votare sul credito per la sperimentazione della riforma “La scuola che verrà”, che verrebbe avviata in tre sedi di scuola comunale (Cadenazzo, Coldrerio, Paradiso) e in quattro di scuola media (Acquarossa, Biasca, Caslano, Tesserete). È impossibile esprimersi in poche righe sui tanti aspetti che non condivido della riforma per cui mi limito ad affrontare quello che per me è il principale: i livelli.

È piuttosto assodato che questa formula che nel tempo ha assunto vari nomi (livelli 1 e 2, corsi attitudinali e base, corsi A e B) sia insoddisfacente, parzialmente nei contenuti ma anche nella forma. È ormai opinione comune che frequentare i livelli A sia sinomino di allievo bravo e impegnato, mentre chi frequenta i livelli B sia una scarpa. A questa convinzione errata hanno contribuito un po’ tutti: genitori ambiziosi che vogliono fregiarsi di avere figli con i livelli A, datori di lavoro che li richiedono anche per formazioni pratiche, scuole superiori e professionali,…

A mio avviso, la soluzione non è però la loro eliminazione tout court, o la sostituzione con laboratori ed atelier previsti in determinate materie, con una divisione aleatoria degli allievi non basata sui risultati scolastici. Questa soluzione porta con sé da un lato il rischio di un livellamento verso il basso delle conoscenze degli allievi piu dotati, costretti poi ad arrancare per adempiere ai requisiti minimi per il liceo o altre scuole superiori. D’altro canto, gli allievi con un ritmo di apprendimento meno veloce potrebbero anche soffrire il confronto con i compagni più brillanti. I docenti non riuscirebbero perciò a soddisfare né le esigenze degli uni, né quelle degli altri.

Per quanto la mia formazione sia stata di tipo puramente superiore-accademico, sono convinto che vada rivalutata la formazione duale, basata sull’apprendistato e sulle scuole professionali, proponendola come un’alternativa di pari livello rispetto ad una formazione superiore, non come una scelta di serie B come è erronamente il caso oggi. Con questo tipo di formazione, al giorno d’oggi si possono facilmente frequentare dei corsi universitari in seguito, anche una volta entrati nel mondo del lavoro, completando idealmente la propria formazione. Il profilo risulta anche più interessante di quello di un accademico puro, perché unisce una formazione teorica ad un’esperienza professionale.

In questo senso, il modello di scuola media che più rispecchia questa mia convinzione e che risponde alle variegate esigenze della società attuale, è quello di una formazione differenziata più mirata alle capacità degli allievi. L’esempio che per esperienza conosco è quello del Canton Friborgo (ma anche di numerosi altri cantoni): tre tipi di classi con orientamento differente. Una classe con esigenze di base, una classe generale, una classe pre-liceale. La scelta tra le classi viene fatta su più fattori: parere dei genitori, degli insegnanti, note, risultati di eventuali esami, eccetera. La mobilità tra le classi è garantita, così come l’accesso ad una scuola superiore nonostante la frequenza di una classe generale, a condizione di superare un esame.

Ritengo che le differenze di talento e capacità degli allievi vadano viste come uno stimolo perché essi siano formati nel modo più adeguato, senza rincorrere un’uguaglianza utopica e arbitraria, bensì premiando il merito: ecco perché invito a votare no al progetto di riforma “La scuola che verrà”!

Luca Paltenghi

Municipale di Magliaso e presidente UDC Malcantone