Siamo nel mondo della connettività (titolo originale)

È sempre interessante leggere gli scritti di una persona lucida come Tito Tettamanti. L’ultimo da me letto  letto è  “il secolo americano al tramonto?”.

In realtà non richiede un punto interrogativo. Il secolo americano è finito nel 20mo secolo. Non solo per la fine del “sogno americano” che consentiva a tutti di diventare, se ci avessero provato, come un Rockefeller, ma anche per le gravi carenze per un paese ricco come  gli Stati Uniti: inclusa una disparità fra ricchi e poveri insopportabile.

Si ricorda – e sarà scioccante per quelli che non lo sanno – che ben 25 milioni di americani non hanno assistenza medica, che le scuole pubbliche sono scadenti, che è così costoso e difficile l’ammissione alle Università di élite, che la criminalità e la violenza sono così diffuse. Sorprendente vedere pagine di pubblicità sui giornali americani per raccogliere fondi a favore di una campagna assistenziale per oltre 2 milioni di bambini senza famiglia…. Dov’è finita l’America di soli 50 anni fa?

Non deve sorprendere quindi il trionfo di Trump con i suoi slogan di “America First” entrambi fattori di nazionalismo e sovranitarismo, ormai valori vecchi e  da tempo in declino. Al suo successo hanno contribuito una forte presa su un elettorato impoverito dalla de-industrializzazione ed impaurito dai grandi mutamenti in atto: tutti “sentono” con preoccupazione la perdita di importanza del loro Paese.

Trump ha una visione di breve termine di un’America in declino e le sue strategie non affrontano i grandi cambiamenti in corso nel mondo.. La realtà delle cose è che il pianeta  si sta frammentando velocemente in “insule” politiche e geoculturali.  Ed il mondo sta ritornando – ritorno al passato – apparentemente come era 2/3 secoli fa prima che l’Europa diventasse il “centro del mondo” ;  grazie alle tre grandi rivoluzioni : marittima, scientifica ed industriale.

La grande differenza con il passato, è che le “insule” non sono disarticolate come allora. Nonostante le divisioni geoculturali che sembrano dare ragione a Huntington (scontro delle civiltà)  rispetto alle previsioni di Francis Paul Fukuyma (la fine della storia). C’è ora un collante unificatore che tiene insieme i vari centri ed è la forza delle tecnostrutture economico finanziarie creata da quella Globalizzazione che l’Occidente ha generato, ma che non riesce più  a governare.

Il sistema globale non è  ora solo multipolare (non più  gli Usa dominanti), come abbiamo detto, ma anche multicentrico. La difficoltà per noi occidentali è l’incapacità di interiorizzare la portata dei mutamenti in atto; in particolare di cogliere il vero senso potenziale della discontinuità con il passato. Ed in particolare :

la contrapposizione di forze centrifughe che tendono all’apertura ed inclusione con quelle centripete prodotte da quegli stati (USA-Trump) che puntano alla chiusura ed inclusione

il superamento della fase “Vestfaliana” che era la base degli Stati moderni avviandoci invece  verso forme di reti globali, come sta facendo la Cina con il megaprogetto OBOR (one belt one Road), la “doppia via della seta”, di cui tanto si parla.

La Cina quindi  ha  lanciato un chiaro messaggio che il mondo futuro  sarà  quello della “Connettività”: una nuova geografia costruita al di sopra della geografia fisica e politica. Una scelta, quella cinese, facilitata dalla sua matrice culturale confuciana che postula “essere e non essere” e non il nostro  “essere o non essere”.  Aristotele non è stato il loro maestro.

Non bisogna poi dimenticare che a svantaggio degli USA, ma anche di noi europei,  l’economia è in fase di forte transizione verso l’Asia: oltre il 50 per cento del PIL mondiale è già al di là degli Urali verso l’Estremo Oriente: e che  ne sarà fra 20 anni?

Per questo Obama aveva visualizzato il progetto “pivot to Asia” prevedendo che il grande scontro politico ed economico avrà luogo in Estremo Oriente: non negli Stati Uniti.

Vittorio Volpi