L’on. Andrea Giudici è l’unico deputato PLR ad aver votato NO alla Scuola che verrà. Per questo motivo è da me considerato una specie di Extraterrestre (senza offesa).

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Il Consigliere di Stato Bertoli ha speso due colonne di questo giornale, il 9 luglio scorso, per confutare quanto da me esposto sul substrato ideologico francese anni ottanta, alla base del progetto “Scuola che verrà”. Con riferimento a Philippe Meirieu e Francois Dubet, coautori della riforma Jospin e seguaci di Barthes e Derrida, teorici della cosiddetta decostruzione del testo, penetrata nella scuola obbligatoria francese dagli anni ottanta.

Le mie osservazioni odierne allo scritto di Bertoli si limitano pertanto al punto in contestazione.

Bertoli avanza, quale argomento di sostanza, che il gruppo che ha lavorato sul progetto della Scuola che verrà non si è mai riferito al sistema scolastico francese né alla legge Jospin del 1989. A supporto decisivo sarebbe il fatto che la bibliografia di riferimento allegata al progetto dal gruppo di lavoro al progetto non cita questi autori. L’argomentazione è debole. È notorio che, per i più diversi motivi, alcuni saggisti, specie in tesi di laurea o testi prelegislativi, non citano esplicitamente tutti gli autori dai quali hanno dedotto, magari anche letteralmente, le loro tesi. Né è conseguito l’annullamento di dottorati e persino dimissioni di ministri.

I confronti testuali smentiscono l’assunto del direttore del DECS.

Bastano alcuni esempi. L’insegnante “met en place les situations et propose les savoirs nécessaires pour que le jeune se fasse “oeuvre de lui-même””(cfr. Philippe Meirieu, L’École ou la guerre civile). Questa concezione si trova pari pari nel messaggio del Consiglio di Stato che propone “di far lavorare gli allievi a partire da situazioni problema confrontandoli con situazioni complesse” (cfr. pag. 29 del messaggio governativo). La tesi di Meirieu “je pensais que les élèves défavorisés devaient apprendre à lire dans des modes d’emploi d’appareils électroménagers parce que c’était plus proche d’eux. C’était les mépriser. Je me suis trompé” (cfr. Philippe Meirieu, Figaro Magazine 1999) è ripresa nel progetto Scuola che verrà “l’allievo riesce a capire istruzioni tecniche relative all’utilizzo di un apparecchio elettrodomestico” (a pag. 35). I termini “les competences transversales, la pédagogie différenciée, les savoir-faire et les savoir-être” (cfr. Philippe Meirieu, L’École ou la guerre civile) sono ripresi nel progetto Scuola che verrà “nella diffusione sistematica della differenzazione pedagogica” (a pag. 11), “giornate progetto promuovono inoltre lo sviluppo delle competenze trasversali degli alunni” ( a pag. 14).

L’allievo deve “s’orienter en déduisant les règles propres à la discipline étudiée, et en en reconstruisant le fonctionnement car il doit être “constamment en situation de recherche”; il doit “observer, repérer, trnsformer, comparer, émettre des hypothèses, les infirmer ou les confirmer, établir des conclusions… selon une démarche inductive” ( cfr. Bulletin officiel de l’è ducation nationale n°5 del 30 gennaio 1997, “Français, accompagnement des programmes, cycle central 5-4”). Analogamente si legge nel piano della scuola correlato alla Scuola che verrà, “In generale, l’approccio didattico dovrà tendere a essere di tipo induttivo e non deduttivo, realizzandosi attraverso il passaggio della riflessione e della scoperta alla definizione delle regole e alla sistematizzazione” (pag. 109).

In merito all’insegnamento della lingua madre “les autres professeuers (maths, histoire-géo, sciences) sont égalment supposés enseigner le français. Cette idée, lancée par Lionel Jospin en 1989, a été reprise dans toutes les réformes de l’éducation depuis lors. Sauf que ça n’a jamais marché! Philippe Meirieu, pourtant coauteur de la loi Jospin, regrette lui-même l’échec de cette tentative” (cfr. Carole Barjon, Mais qui sont les assassins de l’école?, Robert Laffont, a pagg. 99-100).

Analogamente si legge nel piano della scuola correlato alla Scuola che verrà “la necessità che l’educazione linguistica venga considerata un obiettivo condiviso da tutte le discipline, cosa che permette di rafforzarne in modo significativo il valore trasversale” (a pag. 110).

Questi esempi sono più che sufficienti per convincere il lettore dell’ispirazione, ormai conclamata, ai modelli scolastici francesi anni ottanta-novanta e a maestri ideologici notoriamente di sinistra.

La Scuola che verrà non è dunque neutrale come si tenta di far credere.

Convengo con Bertoli che il sistema scolastico francese sia organizzato in modo centralistico, mentre la Svizzera l’autonomia in materia à dei Cantoni. Il problema però non è organizzativo, ma pedagogico, didattico e degli obiettivi della scuola dell’obbligo. Queste ormai ventennali teorie sono state abbandonate in Francia per “la catastrofe pedagogica” che ne è derivata, secondo l’attuale ministro dell’educazione nazionale Blanquer. Noi invece ne dovremmo cominciare la sperimentazione.

La Scuola che verrà non ha attinto “dalle buone esperienze della scuola ticinese” come afferma Bertoli; ha invece attinto a piene mani dalle idee dei guru intellettuali francesi che hanno influenzato decisivamente i ministri competenti. Non c’è quindi alcuna necessità di sperimentare qui quello che è già fallito altrove nella sua applicazione.

Andrea Giudici, deputato PLR in Gran Consiglio

(inviato dall’on. Giudici alla Red.)