“La scuola che verrà”: seppur timidi, i passi avanti vanno valorizzati! (titolo originale)

Il prossimo 23 settembre siamo chiamati alle urne per decidere se sperimentare la riforma “La scuola che verrà”. Il primo elemento da chiarire è che non votiamo la riforma in sé, ma semplicemente una sperimentazione della stessa limitata nel tempo e nei numeri di sedi coinvolte. Il Partito Comunista aveva partecipato alla consultazione promossa dal governo esprimendo numerose criticità, tanto che – al momento del voto in parlamento – il nostro deputato, prendendo la parola in aula, si era astenuto: pur non volendo infatti bloccare una sperimentazione che prevede anche dei passi avanti per la scuola dell’obbligo, è fuori di dubbio che siamo di fronte a una riforma che delude le aspettative dei comunisti, da anni molto vicini al movimento studentesco.

Nel 2006, quando si iniziò a discutere di “armonizzazione” dei sistema scolastici cantonali e poi del concordato HarmoS, il Partito Comunista (allora chiamato Partito del Lavoro) si oppose fermamente a quello che esso comportava: standard formativi e portfolio di competenze. Tutti concetti che hanno poi spalancato le porte a una corrente pedagogica che mira alla destrutturazione dei saperi e in cui l’individuo assume non una capacità di pensiero critico e umanista, ma esclusivamente competenze metodologiche quali l’interazione non conflittuale con le gerarchie, l’uso passivo della tecnologia, ecc. Si tratta di un modello educativo che abbiamo importato dagli Stati Uniti e che rende la scuola un ingranaggio del sistema economico. “La scuola che verrà” eredita queste scelte dettate dai partiti borghesi una decina di anni fa. Ci si poteva attendere una correzione di linea che, però, l’attuale Direzione del DECS non ha avuto il coraggio di osare.

Ribadito tutto ciò, va però riconosciuto che il 23 settembre NON si voterà su questi principi: l’approccio per competenze da noi costantemente criticato in Gran Consiglio attraverso interventi in aula e attraverso una interrogazione ancora pendente, risulta ancorato (e non da ieri!) nei Piani di studio. Sarà semmai in quell’ambito che occorrerà costruire una resistenza da parte degli insegnanti e degli studenti e in relazione a ciò invitiamo il DECS a subito aprire una vera collaborazione con il Forum delle Associazione Magistrali e Studentesche.

Il 23 settembre però votiamo un’altra cosa, e cioè una sperimentazione che porta con sé aspetti interessanti e condivisibili anche dal nostro punto di vista:

1. L’ammissione da parte del DECS del fallimento della politica dei livelli è da salutare: da decenni il Partito Comunista afferma che le differenziazioni strutturali rappresentano solo una selezione degli allievi basata non su impegno o presunte attitudini, ma sull’origine sociale e famigliare dei ragazzi. Una discriminazione classista intollerabile che, con questa riforma, viene finalmente superata.

2. La riforma aumenterà l’organico di insegnanti a disposizione degli studenti attraverso la co-docenza e rafforzerà il servizio di sostegno pedagogico: sarebbe opportuno un aumento maggiore attraverso l’estensione della figura del docente d’appoggio, ma si tratta comunque di un miglioramento che va riconosciuto. Lo stesso dicasi per la generalizzazione degli insegnanti di educazione fisica, educazione visiva ed educazione musicale nelle scuole comunali.

3. L’introduzione di nuove forme didattiche che permettono non solo modalità di apprendimento partecipativo ma che finalmente vanno – anche se solo parzialmente e timidamente – a diminuire il numero di allievi per insegnante è un passo avanti che merita di essere implementato. Vi saranno laboratori, atelier, settimane progetto e ore di classe: si tratta di aspetti utili per la crescita dei ragazzi e sono sempre stati parte delle rivendicazioni del movimento studentesco, dei comunisti e di chi vede la scuola non come una fabbrica di nozioni ma come il luogo privilegiato del confronto critico, dialettico e comunitario.

4. Il Partito Comunista, in fase consultiva, aveva criticato la confusione nella griglia oraria e una eccessiva parcellizzazione della didattica che avrebbe corroborato la difficoltà per gli allievi di vedere un nesso di continuità nella propria crescita intellettuale. Il DECS ha escluso dalla sperimentazione la problematica suddivisione in blocchi del calendario scolastico. Dal punto di vista della valutazione sparisce dalla sperimentazione anche la cartella dell’allievo alle Scuole Medie, quella che per noi era una forma di “schedatura” che sarebbe finita nelle mani dei futuri datori di lavoro. Anche qui, quindi, ci possiamo ritenere moderatamente soddisfatti.

5. Le Unità Amministrative Autonome (UAA) in ambito scolastico sul piano delle risorse e della gestione del personale sono state escluse dal progetto, così come richiesto durante la consultazione anche dal nostro Partito. Esse avrebbero portato con sé una progressiva aziendalizzazione dell’educazione e a differenze fra sedi scolastiche. Il DECS ha fatto quindi un passo indietro che riconosciamo.

Benché dunque il Partito Comunista abbia espresso perplessità e critiche alla riforma, occorre chiarire che i promotori del referendum contro “La scuola che verrà” non ci rappresentano! Sono persone che hanno sempre votato i tagli alla scuola pubblica, che si oppongono all’aumento delle borse di studio, che sono legate alle scuole private (confessionali) e che auspicano una commistione ancora maggiore fra padronato e scuola pubblica. Se vinceranno loro vi è il rischio che i partiti borghesi di centro (adesso disponibili a sperimentare la riforma del ministro Manuele Bertoli) si sposteranno verso destra favorendo una controriforma chiaramente neo-liberale dell’educazione ticinese.

Lo ripetiamo: questo progetto delude le nostre aspettative! Ci si poteva attendere di più e tuttavia occorre, in questa fase particolare, valorizzare i passi avanti che “La scuola che verrà” propone a livello finanziario, di potenziamento pedagogico e di superamento dei livelli. Benché vi siano gruppi della sinistra massimalista fuori dalla realtà che arrivano pomposamente a descrivere “La scuola che verrà” come “una riforma regressiva” e addirittura “di destra”, essa non lo è: il Partito Comunista invita quindi a votare Sì alla sperimentazione il prossimo.

Massimiliano Ay, segretario politico e granconsigliere