(dal Mattino odierno) IRIS CANONICA  Chi oggi parla di “patria” (etimologicamente la “terra dei padri”), di “identità”, di “popolo”, di “sovranità” e di “nazione” (concetto che viene spesso da qualche tempo gemellato con i nazionalismi autoritari del secolo scorso) rischia il linciaggio politico e mediático. Rischia soprattutto la delegittimazione di fronte all’opinione pubblica e di essere considerato “populista”, “sovranista”, termini non negativi nel loro reale significato, ma ai quali ora si dà un’assoluta valenza negativa. A difendere certi valori si rischia di essere tacciati di “razzisti”, di “xenofobi” e addirittura di “fascisti”.

A quest’ultimo riguardo spicca il bell’editoriale sul Corriere della Sera del 29 ottobre scorso, scritto da Paolo Mieli (già direttore del quotidiano milanese), dal titolo “Cosa c’entra il fascismo? (…)

Scrive Mieli, “l’evocazione del fascismo è fin dalla seconda metà degli anni Quaranta un rafforzativo quasi obbligatorio della polemica da sinistra (ma non solo) contro i detentori di ogni genere… il termine fascista è venuto a perdere ogni rapporto con la realtà degli anni Venti e Trenta in cui è diventato d’uso comune in Europa.”