I piccoli partiti della sinistra producono spesso testi interessanti, che vale la pena di leggere. L’articolo non impegna la linea redazionale.

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Ce l’hanno venduto per anni come un settore d’avvenire e innovativo, che garantisce posti di lavoro e entrate fiscali mirabolanti; in realtà il comparto della moda è l’esempio lampante di come lo sviluppo economico di questo cantone sia stato deciso senza cifre affidabili, senza una visione a lungo temine e in base a interessi particolari.

Le notizie di questi giorni sulle conseguenze fiscali per i Comuni di quello che appare come l’inizio di un accelerato declino, riguardano solo le prime conseguenze, ma permettono di comprendere quanto poco senso avesse l’ottimismo di facciata che da mesi ci veniva proposto da parte del DFE e del governo tutto quando insistevamo sul fatto che questo settore non era e non sarebbe stato quello che avrebbe rafforzato in modo importante il mitico “sostrato fiscale” del Cantone.

Si sapeva da anni che con le nuove regole internazionali contro l’erosione della base fiscale e il trasferimento degli utili (BEPS) le imprese della moda sarebbero state solo scatole vuote; ma invece di correre ai ripari governo, partiti maggiori, economisti e esperti fiscali hanno continuato a mentirci per giustificare la politica fiscale, vecchia e fallimentare, degli sgravi alle aziende e ai milionari.

Ci hanno detto che la moda ha sostituito le banche dei tempi d’oro senza neppure rendersi conto che, dopo anni di critiche dell’eccessiva dipendenza del Ticino dal settore finanziario, era a dir poco miope legare di nuovo le sorti del cantone a un comparto, per di più basato su pratiche di evasione fiscale combattute a livello internazionale. La cifra di 90 milioni di imposte, che viene continuamente citata, riguarda in gran parte l’imposta federale diretta perché il cantone, con gli statuti fiscali speciali, riceve solo le briciole. Le banche dei tempi d’oro perlomeno offrivano impieghi ben remunerati e sbocchi professionali, la moda no. I posti di lavoro in questo settore – secondo quanto affermato dallo stesso Consiglio di Stato nelle risposte a nostre interrogazioni – sono poco più di 4’000 su un totale di quasi 230’000. I salari sono da fame: nell’industria tessile il minimo parte da 2’500 franchi, nel commercio all’ingrosso e nella logistica si parte da 3’000 franchi lordi.

Quanto agli impieghi nel design e nella progettazione, di cui si parla nello studio “Oltre la metà del guado”, neppure sappiamo quanti sono esattamente: ci sono in Ticino 300 addetti (248 ETP) nel design industriale in generale, ma non è specificato quanti lavorano nella moda e con quali retribuzioni. Le condizioni di lavoro e i salari della Philippe Plein non lasciano ben sperare; eppure a Chiasso si progetta la costruzione di una nuova scuola tecnica di moda e di sartoria. Addirittura il cantone si è candidato a diventare un’antenna del Parco nazionale dell’innovazione con un proposta basata su “moda e logistica”, poi scartata per ben due volte dagli esperti perché mancano reali cifre sulle interazioni delle grandi case internazionali con le aziende del territorio e sulle attività di ricerca e sviluppo.

Parlare di metasettore per gonfiare artificialmente il numero di aziende e impieghi della moda non cambia la realtà dei fatti. Ticinomoda, a cui i media danno sempre ampio spazio, conta una trentina di associati in tutto, di cui molti attivi nel commercio all’ingrosso e nella logistica, cioè due tipici settori paravento dell’evasione fiscale. Non serve neppure continuare a ripetere che l’istituto Bak Basel ha definito la moda un settore chiave, come ha fatto il consigliere di Stato Christian Vitta ancora due giorni fa in un’intervista sul Corriere del Ticino. Lo studio, basato sulle cifre del 2011, parla effettivamente di alta produttività in questo settore, senza però tener conto che le cifre sono gonfiate artificialmente dalle pratiche di ottimizzazione fiscale. Il gruppo del lusso Kering, ad esempio, faceva figurare il 70% degli utili dell’intero gruppo in Ticino, facendo transitare i prodotti dei suoi stessi marchi dalla Luxury Goods prima di rivenderli in tutto il mondo. Al netto di questi escamotage fiscali, la produttività crolla. Il Bak Basel aveva anche messo in guardia che il potenziale di crescita e di innovazione di questo settore è molto basso, quindi resta ben poco di concreto di tutto il “lusso” che per anni ci hanno dipinto.

Ora che le nuove norme internazionali imporranno ai grandi gruppi di pagare le imposte dove creano valore aggiunto, in Ticino rimarranno solo grandi depositi di logistica, che causeranno ingenti costi esterni, e posti di lavoro mal pagati e precari. Il Cantone, guidato dai suoi “capitani coraggiosi” si è legato il cappio al collo da solo, altro che lungimiranza!

MPS