“Bisogna abbandonare il più presto possibile un metodo basato sull’astrattismo pedagogico che tende a ridurre il docente a funzionario esecutore o commissario dipartimentale. Bisogna, invece, ripartire dalla centralità del docente all’interno di una scuola che rimanga – o ritorni ad essere – un luogo dove si impara, un «luogo di cultura e di condivisione». Per farlo occorre salvaguardare il principio dell’autonomia didattica.

Se volessi usare una formula, direi che il dopo-«Scuola che verrà» deve ripartire da un luogo preciso: l’aula.”

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Lucido pensiero della candidata al Consiglio di Stato. L’efficacia di un semplice verbo usato da Amalia è illuminante: la scuola è un luogo dove si impara. Troppo semplice? Forse, ma bisognava dirlo.

La Scuola che verrà era invece uno strumento di rivendicazione sociale, fondato sull’idea socialista che la scuola attuale sia la scuola “classista” di una società “ingiusta”. Gli elettori hanno bocciato questa idea, e con essa il progetto di Bertoli.

La vittoria del NO è stata tanto più netta e più meritoria se si considera l’enorme dovizia di mezzi (soprattutto mediatici) di cui l’Apparato disponeva. L’Establishment aveva mobilitato tutti i suoi carri e tutti i suoi cavalli. Ma il sovrano non ha abboccato.