Pubblichiamo, a puntate, questo lungo e interessante articolo, assai sarcastico verso il leader leghista, vicepresidente del Consiglio.

Ticinolive è un portale molto libero. Di questo andiamo fieri. Ci ha fatto perdere il saluto di parecchie persone (di varia tendenza politica) ma mai il sonno.

L’articolo non impegna la Redazione. Come noi vediamo il Salvini? Il personaggio non sarà tutto oro zecchino ma un merito robusto ai nostri occhi ce l’ha: ha fatto crollare la sinistra ai minimi termini, disarcionando quel suo spaccone toscano.

Salvini non può essere peggio di Renzi.

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Salvini, guardandosi allo specchio con indosso la felpa con la scritta “Padania”, deve aver ruminato a lungo, prima di attraversare il Rubicone e presentarsi a Roma come paladino della sovranità nazionale.

Chissà, se è stata una sua intuizione, oppure – come si vocifera – un suggerimento di Claudio Borghi Aquilini, altro meneghino dallo spiccato pragmatismo, che, partito come fattorino in Borsa, è passato per una carriera Deutche Bank, per approdare alla docenza universitaria e, infine, in Parlamento?

Ma se non il suggerimento, certamente il programma è venuto da ben più in alto e più lontano. E il passo, apparentemente temerario, è stato scortato in tutta sicurezza.

Dirigersi nella capitale, ostendando una immacolata felpa con scritto “Roma”, ancora fresco dei lavacri rituali di Pontida, non sembrava sulla carta impresa facile, ma le cose sono andate oltre le più rosee apettative.

Del resto, Salvini è uomo di comunicazione di razza purissima e dopo aver mosso i primi passi in televisione con Doppio slalom e Il pranzo è servito, non ha mai dimenticato che chi sa parlare allo stomaco degli italiani – la loro parte più sensibile – ha sempre successo.

E bisogna ammettere che gli americani, maestri di marketing, raramente sbagliano la scelta dell’uomo immagine su cui scommettere.

Così, la resistibile ascesa di Salvini – pur nel vuoto italiano- è stata tutt’altro che ostacolata, contando, invece, su una presenza televisiva assidua, ospite gradito del salotto di Vespa e di trasmissioni del gruppo del biscione, che hanno consentito al pubblico dei tele-elettori di familiarizzare con il presunto orco cattivo, pronto a sciogliersi per i suoi pargoletti, o a mostrarsi accorato e solidale con la vecchina sinistrata dal terremoto.

Insomma, il personaggio scelto è stato quello del duro dal cuore buono, l’ex ragazzo della porta accanto, che non transige sui sani principi e non si tira mai indietro: lo puoi chiamare anche a mezzanotte per sturare lo scarico del lavandino. Uno che davanti al Rubicone, con un sorriso, avrebbe più volentieri tratto un dado da brodo e stappato una bottiglia di Lambrusco, per parlare del progetto che avreste realizzato assieme una volta giunti nella capitale. Un affabile compagnone, che usa la parola “amico” con gli sconosciuti con una frequenza che non ha paragoni neppure nel mondo dei venditori di pentole a domicilio.

Non occorre sottolineare come chi sia davvero antisistema non trovi diritto d’asilo in televisione, dove, tutt’al più – per dare l’idea di un inesistente dibattito pluralistico – è consentita la presenza a roboanti filosofastri alla moda, che blaterano un inoffensivo grammelot pseudorivoluzionario mescolando massimi sistemi con minimi mezzi intellettuali, e che, quando comprensibili, mostrano tutta la propria vacua sterilità imbelle, che ci riporta alla memoria gli inconcludenti comizi del liceo.

In questa attenta politica dell’immagine, un tocco di maestria è stata la comparsa della barba sul volto, che ha donato magicamente al nostro un fotogenico e maschio carisma dal sapore marinaresco: un marinaio delle grandi pianure, non a caso chiamato “il Capitano” dalla ciurma degli elettori. Un pirata sentimentale, ma fermamente determinato a traghettare il rattoppato vascello italico attraverso i marosi della crisi economica, e ad assaltare l’arcigna fortezza di Bruxelles, sfidando il fuoco di sbarramento della finanza maligna e reazionaria all’ordine dei crucchi. La guida sicura, per questo ceto medio senza bussola, l’unico che conosca davvero l’approdo, perché indicatogli da Steve Bannon a nome dell’amministrazione Trump.

Adesso, non fate, per cortesia, l’errore di leggere le mie parole come una critica ad personam: la politica è l’arte della menzogna.

“Dietro la barba,” diceva il regista Sergio Leone, quando – dubbioso – decise di farsela crescere, “si nasconde sempre un genio o uno stronzo”: sarà la a storia a dirci in quale categoria collocare l’ex-ragazzo di Pontida.

Il marketing h24

Dall’operazione Tangentopoli in poi – grande messa in scena con la quale si travestì da pulizia morale un colpo di Stato che prevedeva l’eliminazione di un ceto politico legato alla prima repubblica e ostile alla marginalizzazione dell’Italia prevista dal progetto Europeo – la politica è cambiata: le parole d’ordine del marketing imperano e sono tutte telegeniche e tutte provenienti dall’America: spettacolarizzazione, personalizzazione, carisma.

Berlusconi e le sue convention aprono la via, maldestramente imitate dalle altre forze politiche, frenate, in principio, da pastoie moralistiche e forse qualche residuo di antica e sincera militanza. Arrivano gli appassionanti e reclamizzati duelli televisivi, rodati già da decenni sugli schermi americani: Occhetto contro Berlusconi, come Kennedy contro Nixon.

Berlusconi è il profeta della americanizzazione della tv e della politica: l’uomo che si è fatto da sé, che porta in Italia il sogno americano dell’uomo qualunque che ha costruito una fortuna e, in aggiunta, con sanguigno e indomito spirito latino, organizza, già ultrasettantenne, festini orgiastici in grado di rivaleggiare con antichi baccanali o suggestioni da “Mille e una notte”. L’italiano medio va in visibilio di fronte a questa luccicante proiezione dei propri desideri elevata al cubo: donne, potere, miliardi. E il frustrato Nando Meliconi di Un americano a Roma è finalmente compensato e sublimato dal suo contraltare: l’imprenditore milanese che ha trovato una via italiana all’America e fonda città e imperi televisivi come un novello pioniere della frontiera del benessere.

Salvini cresce in questa atmosfera di marketing permanente, resa ancora euforica dagli ultimi fumi della Milano da bere: è l’uomo sandwich, inventato a Madison Avenue, che oggi si veste con magliette e felpe, corredate di slogan. Poche parole e poche idee, per un popolo che ne ha ancora di meno.

Marketing, ai tempi attuali, significa l’uso di internet, dei social network, per rivolgersi direttamente alla base come fa Trump, da one man show, altro grande personaggio di spettacolo e di comunicazione, che deve il successo alla televisione e all’edilizia spregiudicata.

Twitter è il mezzo ideale per un pubblico americano che fatica a leggere oltre i 200 caratteri e riesce a esporre contenuti sgrammaticati a malpena per la metà.

E anche Salvini è maestro nell’uso della rete, con le sue dirette su Facebook, col rendere partecipe anche l’ultimo sconosciuto della sua vita privata, delle feste di compleanno, del saggio scolastico del figlio. Può donarsi, telematicamente, e fondersi virtualmente con l’elettore, in un rapporto che trapassa l’epidermide e tende a divenire quasi osmotico.

E’ un marketing estenuante, senza pausa, h24, che lo costringe a non mollare mai il suo personaggio, pena il senso di abbandono che proverebbero ormai i suoi seguaci, smarriti senza il proprio intrepido e indomito capitano.

La scuola della comunicazione diretta in cui è cresciuto l’ex direttore di Radio Padania Libera è, però, anche quella di Bossi, il senatur, che ammoniva la socialista Margherita Boniver, fra le grida di di approvazione dei militanti: “Cara bonassa nostra, la Lega non ha bisogno di armarsi: noi siamo sempre armati, ma di manico…!”. L’ uomo il cui carisma – scriveva Enrico Deaglio nel 1987 – gli consentiva di dire che a Roma non si lavorava, senza avere egli stesso mai lavorato.

Il personaggio Salvini è l’erede di tale filo diretto con la base, e anche per quanto attiene all’orizzonte dei riferimenti culturali – che non si spingono più in là del mondo Disney e di ciò che accade allo Stadio San Siro durante le partite del Milan – sembra pennellato in modo che tanta classe media, e il suo elettorato in particolare, possa identificarvisi. Un elettorato che, anche in questo caso, ha un difficile rapporto con la parola scritta, come testimoniato dalla rinuncia, da parte del professor Bagnai – l’intellettuale di punta del gruppo leghista- alle sue chilometriche citazioni in francese, ora che ha preso tristemente coscienza che i suoi elettori confondono Proust con Prost, e pensano che Alla ricerca del tempo perduto sia l’autobiografia dell’ex pilota della Ferrari.

Francesco Mazzuoli (continua)

Fonte: Accademia Nuova Italia