1929. Un anno impossibile da definire come tutti gli altri. Troppi gli avvenimenti che sconvolsero il mondo e poche forse le 150 le opere esposte a Palazzo Blu in Italia, nella città di Pisa, dove i capolavori come recita il comunicato stampa, che sono “pittorici, sculture, oggetti surrealisti, disegni, collage, installazioni e fotografie […] per mostrare la straordinaria avventura dell’avanguardia surrealista, attraverso i capolavori prodotti al suo apogeo e dunque intorno all’anno 1929”.

Una annata “cruciale”, punto di congiunzione tra una Parigi, dedita più che mai ad accoglie le avanguardie creative dopo che proprio la Svizzera, a Zurigo, aveva visto nascere il fenomeno del “Dadaismo” e che ha avuto nel genio di Alberto Giacometti un discusso protagonista. Un surrealismo made in Svizzera? Chissà. Forse.

Un ponte, sicuramente, quello della neutrale Svizzera con Parigi di quell’anno, che segno’ anche uno sviluppo artistico mondiale e che proprio a Giacometti originario del Canton Grigioni e figlio di rifugiati protestanti italiani e che proprio in Italia, quell’anno ebbe i suoi germogli metafisici con i fratelli De Chirico mentre a Roma venivano stipulati i patti Lateranensi.

La bella mostra “Da Magritt a Duchamp: il 1929 il grande surrealismo dal centre Pompidou” organizzata dal Palazzo Blu, il centro Pompidou e Mondomostre , segue una linea diversa dalla mostra alla Fondazione Ferrero ad Alba in Piemonte per esempio: portare per la prima volta in Italia delle opere del centro francese partendo proprio da quell’anno quando” il teorico del movimento André Breton e il poeta Louis Aragon cercano di modificare il movimento dalle sue fondamenta teoriche. Questo nuovo approccio non trova tutti i membri d’accordo e sembra creare una insanabile frattura all’interno del gruppo stesso. Nonostante queste lacerazioni interne, la vitalità del movimento resta intatta. L’arte surrealista sembra più che mai affermarsi.A dicembre, sulla rivista “Révolution Surréaliste”, André Breton pubblica il Secondo manifesto surrealista che sancisce l’allineamento al Partito comunista francese e imprime al movimento la nuova svolta “ragionante”.

Un approccio quindi che è anche un percorso di sintesi. Un percorso, quello che si delinea nelle sale di Palazzo Blu visitando la mostra che non segue quindi il gusto di un committente o di un collezionista, ma “curiosità” (a volte un pò sensazionalistica) che avvolgeva il movimento in quell’anno con i suoi protagonisti. Curato da Didier Ottinger , ci sono quasi tutti protagonisti ed i capolavori di questo movimento artistico che appartengono alla collezione permanente del museo francese: René Magritte, Salvador Dalí, Marcel Duchamp, Max Ernst, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Man Ray, Joan Miró, Yves Tanguy, Pablo Picasso “come anche altri che, “questo ambizioso progetto scientifico mira a presentare le opere, le interazioni, le visioni estetiche dei principali artisti surrealisti considerati per antonomasia tra i più grandi Maestri del Novecento”. E poi, tra tutti Magritte a cui viene dedicata un’intera sala della mostra: perchè, come recita il comunicato stampa ” questo “surrealista” sui generis detto anche “le saboteur tranquille”, per la sua capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, che evita deliberatamente il mondo dell’inconscio e si sottrae con ogni mezzo all’automatismo, non crede né ai sogni né alla psicoanalisi, denigra il caso e pone logica e intelligenza ben al di sopra dell’immaginazione, partecipa infatti alla svolta “ragionante” che André Breton desidera imprimere al “secondo” Surrealismo”. Un percorso che va oltre l’idea del piacere o non piacere. Della simpatia o antipatia che il surrealismo ha sempre provocato ma una intensa lucidità descrittiva, in particolare con la splendida presenza di un genio indiscusso della scultura svizzera. E Giacometti ed il suo estro, tra mito e sogno, c’è tutto. Le sue sculture, inserite nella sezione più densa della mostra, mostrano al visitatore quanto di più bello il surrealismo è stato. Un evento denso e descrittivo insieme in un periodo della storia umana avvincente e tragico. Quella stessa lucidità descrittiva rende l’artista svizzero perfettamente all’unisono con il movimento. Mostrandone forse, il volto più umano. In particolare nell’opera “uomo e donna” dove la proporzione diventa il meccanismo astratto della forma stessa, lo schema dell’ascolto attivo che non è mai violenza ma concretezza plastica. una tensione che si compenetra e diventa sostanza “metafisica” appunto. Un punto alto della cultura surrealista svizzera nella scultura e che sarà possibile ammirare in Italia, a Pisa, a palazzo Blu sino al 17 Febbraio 2019.

Cristina T. Chiochia