Attenzione alle parole, non si sa mai quale sia il loro significato. In questi giorni ce n’è una, espressa al plurale, che la farà da padrona: AUGÙRI. Veramente non so con quale sincerità essa venga talvolta proferita o scritta. Comunque parliamo un po’ di lei.

Anticamente gli àuguri (sing. àugure) erano dei sacerdoti che avevano l’ufficio di predire l’esito di un’impresa, o di svelare il valore di un avvenimento, e a tale scopo osservavano il volo degli uccelli. L’augùrio, con l’accento tonico sulla seconda “u”, era l’arte dell’àugure, il quale in una speciale cerimonia traeva appunto gli auspici dall’osservazione degli uccelli in volo. Talvolta il responso dell’àugure era negativo.

Verrà pure in mente la figura della Pizia, sacerdotessa di Delfi, che seduta sul sacro tripode, in stato di estasi pronunciava parole sconnesse, che i sacerdoti dovevano interpretare.

Oggi dell’àugure non parla più nessuno. Esiste solo l’augùrio, che per forza delle abitudini si riferirà solo alle cose belle. Ma gli augùri proverranno sempre dal cuore, o saranno talvolta l’amaro frutto di una pianta chiamata ipocrisia?

Franco Cavallero

Immagini 1) il volo degli uccelli, interpretato dagli àuguri; 2) la Pizia, seduta sul sacro tripode, che parlava per i sacerdoti