Se non ci fossero di mezzo bombe nucleari e missili intercontinentali, la politica della Repubblica Popolare della Corea del Nord potrebbe anche essere divertente.

Nei giorni scorsi, puntualmente un altro “colpo di teatro”, forse più di uno. Le trame sono una dichiarazione durante il discorso per il nuovo anno del “maresciallo ” Kim Jong-un e poi, successivamente una sua visita a sorpresa a Pechino. La terza in poco tempo dopo un’astinenza di viaggi all’estero per anni dal 2012, anno della sua ascesa al potere.

Alla televisione, nel suo discorso, con montaggio a più riprese, ci offre un ulteriore cambio di posizione rispetto alle aspettative di Washington. Anziché confermare una denuclearizzazione a prescindere, Kim ha ammonito che “se gli Stati Uniti continueranno con le sanzioni, Pyongyang sarà costretta a cambiare di nuovo la linea”, tornando alla sfida nucleare. Detto in altre parole, Kim non ha alcuna intenzione di rinunciare unilateralmente all’arsenale atomico – polizza di assicurazione sulla sua vita – se gli USA non faranno un passo nel ridurre o eliminare le sanzioni contro il suo paese. Sanzioni che chiaramente si fanno sentire in un paese con un esercito di milioni di soldati, ma che non riesce, economicamente, nemmeno a sfamare la popolazione.

Se Washington sarà accomodante “non produrremo più armi nucleari, non le useremo e non le diffonderemo nel mondo”. Insomma, tutto quello che aveva fatto intravvedere pochi mesi fa anche durante l’incontro di Singapore con il presidente Trump, se lo è rimangiato.

Per questo il “Corriere della Sera” scrive che se Kim non fosse il capo del regime nordcoreano, “potrebbe guadagnarsi da vivere come attore di teatro”. Sorprende? Non quelli come me che seguono le vicende coreane da mezzo secolo ed hanno anche visto a fondo il paese.

Circa la inaffidabilità della leadership, vale la pena di leggere un documento importante che aiuta a comprendere meglio. È uscito da poco un bel libro di Antonio Moscatello “Megumi, storie di rapimenti e spie della Corea del Nord”. È una ricostruzione drammatica e documentata di una storia vera.

Il 15 novembre 1977 Megumi Yokota, una ragazzina d 13 anni stava tornando a casa dalla scuola, in un paesino del Giappone. Scomparve definitivamente senza lasciare nessuna traccia.

Anni dopo si seppe che era stata rapita, messa su una barca, portata su un peschereccio della Corea del Nord al largo e portata via. Di lei, come di almeno una decina di altri casi, non si seppe nulla per anni.

Finché a causa di un famoso incidente, la colpevole di un attentato perpetrato dai nordcoreani confermò che il suo giapponese lo aveva imparato da inseganti nipponici a suo tempo “rapiti”.

È la cronaca documentata di una tristissima lunga storia decennale di crimini perversi che il governo della dinastia Kim negò fino a quando i fatti furono evidenti al mondo.

Questo dramma continuò finché le autorità giapponesi, finalmente, fecero le pressioni giuste. In particolare l’ex Primo Ministro Koizumi che prese a cuore la tragedia fino a recarsi personalmente a Pyongyang.

Di queste vittime poche poterono ritornare in patria dopo decenni di estenuanti dinieghi, trattative e ricatti. Di Megumi invece non si seppe mai la verità. Si disse che si era sposata, aveva avuto una figlia ed era morta in un incidente stradale, senza mai dare prove sulla veridicità dei fatti. I poveri genitori Yokota, ormai vecchi, poterono incontrare la nipotina solo nel 2014, unica e povera consolazione della loro vita.

Questa è purtroppo l’affidabilità della dittatura dei “monarchi rossi”. Perlomeno disumani. Ed è meglio saperlo per meglio giudicare.

A proposito, abbiamo anche un’ultima” perla” di questi giorni: è la misteriosa scomparsa a Roma dell’Ambasciatore nordcoreano Jo Song-gil; sparizione che preoccupa fortemente Pyongyang. Il diplomatico che era richiamato a casa, fa parte di una famiglia alta nella nomenclatura del regime. Parla italiano fluente perché ha anche studiato in Italia e sicuramente sa molte cose confidenziali sul suo paese.

La sua scomparsa è anche una notizia negativa sia per Washington che per Seoul (Corea del Sud) perché capita in un momento infelice per le trattative in corso sul nucleare (USA) come pure per il processo di distensione con Seoul – Corea del Sud.

Per la cronaca, non è la prima volta. Negli ultimi tempi diversi diplomatici nordcoreani hanno deciso di chiedere asilo politico e di non rientrare in un paese che non sembra certamente essere un’agognata meta. La recente visita a Xi Jinping a Pechino viene giudicata come il pretesto per chiedere consigli su come procedere con Trump. E Pechino può sorridere perché conferma quanto il suo “grip”, la sua presa, sia più forte che mai sul “maresciallo Kim” ed il suo Paese.

Vittorio Volpi