Da un po’di tempo mi interrogo in che Cantone vivo, quali siano le sue sfaccettature sociali, su cui vale la pena riflettere.

Mi trovavo pochi giorni fa in Via Nassa a Lugano, un tardo pomeriggio soleggiato, immersa in una luce inconsueta, invernale solo per data di calendario, ma del resto insolitamente primaverile.

A parte le persone che camminano frettolosamente per fare degli acquisti di fine giornata nel supermercato presente, la via mi appare semivuota, un vuoto malsano che lascia intuire la presenza di una mancanza di vitalità, sempre più riscontrabile in questa bella strada. Eppure tempo fa non era cosi, vi era commercio, socialità. Ed ancora più in là nel tempo, l’intuizione mi porta ad immaginare, che in questo luogo doveva esserci della gente vera, dovevano vivere dei bambini veri, che giocavano in questi vicoli, senza indossare capi firmati, famiglie vere, impegnate nel quotidiano con lavori artigianali, contenti di quello che avevano, di quello che semplicemente erano.

Mi soffermo davanti ad una vetrina, prodotti di lusso, prezzi esorbitanti. Accanto a me, una signora osserva gli articoli esposti, sospira, dice sottovoce “Che prezzi. Chissà cosa pagano d’affitto”. Osserva ancora per un attimo quello che evidentemente avrebbe voluto acquistare, lo sguardo assorto, di chi si può permettere solo una dose d’ illusione, di non-senso, poi se ne va. Continuo il mio cammino fermandomi davanti ad una chiesa, entro brevemente, vuota anch’essa. Tristemente mi accoglie un Dio celeste assassinato e crocefisso, solo, in una casa che non è mai stata la sua. Proseguo con i miei passi verso il LAC. Imponente struttura culturale per una cittadina di ca. 70’000 abitanti. Prezzo minimo per lo spettacolo in corso: sfr. 70.–. Però, ricordo bene il discorso d’inaugurazione della direzione di questo centro culturale, “dedicato a tutti i cittadini, una struttura che intende favorire la cultura e l’arte locale, accessibile a tutti”. Dove sono i prezzi accessibili a tutti? Non mi soffermo sui milioni spesi per questo centro ne sui costi annui che comporta. Desidero solo affermare, che questa non è “cultura per tutti”! In effetti, la cultura dovrebbe essere accessibile a tutti, con biglietti che potrebbero andare dai sfr. 5.– ai sfr. 20.–.

Tanto più che dati drammatici  evidenziano un vero e proprio problema che ci riguarda da vicino, una società, nella quale la ricchezza è oramai concentrata nelle mani di pochi e le diseguaglianze sono cresciute a dismisura (si può dire?), un Cantone che da anni si trova nella morsa del dumping salariale e nel quale affiorano preoccupanti ed inaccettabili sacche di povertà. Chi si può permettere tali prezzi per la cultura? In tante famiglie non si sbarca nemmeno il lunario e i supermercati d’oltreconfine sono pieni di ticinesi e residenti che fanno, giustamente, i loro acquisti a prezzi abbordabili.

Dove sono le applicazioni delle misure accompagnatorie degli accordi bilaterali che avrebbero dovuto proteggere i residenti dal dumping salariale? Qualche nostro politico di sinistra, di destra, di centro destra, di centro sinistra, altro (vedete voi) si è impegnato, affinché a Berna venissero accettate, dato che sottostanno alle leggi federali? Francamente non mi risulta. Probabilmente, nell’eco dei consueti insulti e degli asti trasversali tra partiti e movimenti politici di questo Cantone ne è stata persa la mira. Si ha di meglio da offrire alla popolazione già vessata?

È facile capire che se in questo piccolo Cantone lavorano ca. 70’000 persone provenienti da oltre confine, a qualcuno qui mancherà l’impiego. È una semplice riflessione.

Sono migliaia i cittadini locali senza lavoro e in assistenza, nella morsa di un continuo affluire di problemi legati al lavoro e dovuti alla libera circolazione, che con una regolare immigrazione non ha nulla in comune. È solo schiavitù  programmata a tavolino da pochi, pochissimi potenti di una finanza nefasta, internazionale, i cui volti, a mio avviso, ci sono sconosciuti.

Candida Mammoliti, indipendente