Sono quattro temi tecnici e poco sentiti e infatti nessuno ne parla. Si tratta della chiamata alle urne del 10 febbraio sul piano cantonale e il pericolo che a vincere sarà l’astensionismo è concreto. Eppure sono argomenti che toccano il cittadino e il suo rapporto con le istituzioni: è quindi necessario informarsi per scegliere con cognizione di causa cosa votare.

In primis c’è la proposta che tocca i diritti politici dei ticinesi all’estero. Per esercitare il diritto di voto, si vuole sostituire il Comune di attinenza con quello dell’ultimo domicilio prima di lasciare la Svizzera. Il pericolo maggiore sarà che ticinesi doc, andati all’estero dopo un domicilio anche breve in un altro Cantone, non potranno più votare in Ticino né a livello cantonale né comunale. Potrebbero recarsi alle urne in un Cantone e in un Comune che conoscono poco, senza dimenticare che diversi Cantoni non prevedono il diritto di voto generalizzato per chi vive all’estero. Per questi ticinesi, a tutti gli effetti, sarebbe una perdita di democrazia non da poco. Non potrebbero più dire la loro né in Ticino né nella località di attinenza, che in genere corrisponde al luogo di nascita, alla quale sono legati, che conoscono bene, punto di riferimento di ricordi e affetti, sostenuta da un importante attaccamento al territorio simbolo della famiglia. Le norme attuali sono conosciute ed apprezzate da tempo e non serve sostituirle. Per queste ragioni, ma anche perché si tratta di un diritto storico, l’invito è di inserire un no nella busta di voto o nell’urna.

E vengo al tema della raccolta delle firme per i diritti popolari. Il nostro Cantone, per tempo a disposizione e per numero di firme da raccogliere per referendum e iniziative, è molto severo, situato nelle parti più basse della graduatoria. Solo due esempi significativi: per promuovere un referendum il Vallese, medesimo numero di votanti di noi, chiede 3.000 firme in 90 giorni, il Ticino 7.000 in 45 giorni. A Zurigo, dove gli aventi diritto di voto vanno moltiplicati per quattro rispetto al Ticino, bastano 3.000 firme in due mesi per portare tutti a votare. La proposta modifica della Magna Carta non è che migliori molto la situazione attuale, diciamo che è minimalista: non tocca purtroppo l’alto numero di firme richiesto, ma almeno aumenta da 45 a 60 giorni il tempo a disposizione per referendum e iniziativa legislativa e da 60 a 100 quello per l’iniziativa costituzionale. Meglio di niente comunque. In attesa di tempi più realmente democratici, occorre un bel sì.

E un sì è auspicabile anche per il terzo tema. Si tratta semplicemente di estendere la possibilità, data attualmente solo per una modifica parziale della Costituzione, di votare su due varianti per articolo, anche alla modifica totale della legge delle leggi. È una questione di diritti popolari e di fiducia nell’importante parere dei cittadini.

Infine il quarto oggetto concerne le iniziative popolari legislative. Per quelle elaborate il voto del Gran Consiglio è definitivo e va bene così. Per quelle generiche, anche se il Legislativo propone un testo conforme, oggi è dato semaforo verde agli iniziativisti di chiedere il parere del popolo. Si vorrebbe eliminare questa facoltà affermando che un testo conforme dovrebbe dare piena soddisfazione ai promotori dell’iniziativa. Ahimè, è vero in teoria ma non in partica, e gli esempi non mancano. Il recente voto popolare sull’insegnamento della civica nelle scuole lo dimostra. I promotori, non convinti di quanto proposto dal Gran Consiglio come testo conforme, e visti i segnali poco rassicuranti da parte del Dipartimento competente, avevano chiesto la chiamata alle urne. Le cittadine e i cittadini ticinesi hanno fatto chiarezza. Si tratta peraltro di un sacrosanto punto di riferimento dei diritti popolari e va mantenuto. E quindi meglio un no, non cambiamo ciò che può dare la parola ai cittadini di fronte a certe potenziali distorsioni del sistema politico e legislativo.

TULLIO RIGHINETTI – già presidente del Gran Consiglio

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