Bruno Ganz, l’attore svizzero che ha interpretato per primo Adolf Hitler in lingua tedesca nel film “Downfall”, è morto di cancro al colon a Zurigo all’età di 77 anni.

Considerato un’anima bella che sapeva calarsi anche nelle anime brutte, era figlio di un operaio svizzero e di madre italiana nato a Zurigo nel 1941 e trasferitosi in Germania negli anni ’60 dove ha cominciato la sua professione vendendo libri e facendo l’operatore sanitario rispondendo alle chiamate di assistenza medica.

Grazie alla sua versatilità creativa e professionale, che poteva esprimere sia in ruoli teatrali che nel cinema, ha avuto una carriera ricca e variegata. Sapeva recitare indifferentemente in tedesco, in inglese e in italiano, e fu proprio il cinema che ben presto lo rese popolare nel 1960 quando debuttò nel film “Der Herr mit der schwarzen Melone” grazie al quale venne notato per il suo talento.

La celebrità arrivò con il film “Il cielo sopra Berlino” di Wenders, dove interpretò il ruolo dell’angelo Damiel lasciando intravedere tutta la sua umanità di attore e di uomo. Lavorò anche con registi italiani come Giuseppe Bertolucci e Silvio Soldini. Oltre a ricordarlo per il ruolo di Hitler nel film “La caduta” diretto da Oliver Hirschbiegel nel 2004, rimarrà nella nostra memoria per il ruolo del giornalista italiano Tiziano Terzani, famoso per la sua conoscenza della cultura asiatica, interpretato nel film “La fine è il mio inizio” diretto da Jo Baier nel 2010. Importante anche il ruolo del papa cattolico polacco Giovanni Paolo II nel film diretto da Jeff Bleckner nel 2005, e recentemente per aver interpretato il nonno di Heidi nel film diretto da Alain Gasponer.

È stato un grande artista cresciuto in quella straordinaria fabbrica di attori che è stata la “Schaubühne am Halleschen”, teatro fondato dal direttore artistico Peter Stein, considerato il più famoso teatro tedesco e la più importante istituzione artistica della politicizzazione del movimento del ’68. Con compagni teatrali come Edith Clever, Jutta Lampe, e Michael König, riuscì a rinnovare la scena germanica ed europea con interpretazioni dei testi densi preparati da studi approfonditi.

Nel 2005 Ganz rivelò ad un quotidiano inglese che aveva trascorso quattro mesi a prepararsi il ruolo di Hitler, studiando scrupolosamente documenti storici tra cui una registrazione segreta del dittatore e osservando le persone con la malattia di Parkinson. “Non posso pretendere di capire Hitler. Anche i testimoni che erano stati nel bunker con lui non erano in grado di descrivere l’essenza di quell’uomo. Non ha avuto pietà, nessuna compassione, nessuna comprensione di ciò che le vittime della guerra hanno sofferto”, disse Ganz durante l’intervista.

“Il ruolo mi è stato utile per poter mettere il mio passaporto svizzero tra il mio cuore e Hitler, in modo che non potesse toccarmi”, aggiunse, affascinato dal fatto che Hitler non era soltanto supportato dal popolo tedesco, ma anche amato. “La relazione tra lui e il popolo era quasi religiosa. Un eroe vestito di bianco in piedi contro il mondo corrotto. Il modo in cui la moglie di Goebbels è disposta a uccidere i suoi figli perché non può immaginare la vita dopo il social nazionalismo. È come un culto. Quindi mi ha aiutato a essere svizzero, non tedesco”, affermò Ganz.

Il film ha incassato 92 milioni di dollari, ed è stato nominato vincitore del BBC Four World Cinema Award per la sua performance intrigante e spaventosamente carismatica che alternava rabbia e disperazione negli ultimi giorni all’interno del bunker.

Al momento della sua morte, Ganz era il detentore dell’Iffland-Ring, un anello tempestato di diamanti con l’immagine dell’attore tedesco August Wilhelm Iffland. Passa da attore ad attore per contrassegnare il destinatario come il “più significativo e degno” attore di lingua tedesca.