Le ARP – che hanno preso il posto delle “tutorie” – hanno critici acerrimi. Le accuse e i toni di Orlando De Maria, presidente di StopARP, sono pesanti. D’altra parte, l’interesse pubblico di un tema del genere è indiscutibile e per di più l’intervistato è lizza per una carica elettiva (granconsigliere).

“Le ARP non hanno il dovere di rendere conto del loro operato”, “sono oltre la giustizia”; queste sono affermazioni gravi che possono apparire addirittura stupefacenti. Ci piacerebbe ricevere un “secondo parere”.

Ticinolive ha fatto le domande e non le risposte. Il portale sarà lieto di ospitare eventuali repliche.

Un’intervista di Francesco De Maria.

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Lei è noto (e io la vedo così) come il “castigamatti delle ARP”. Mi elenchi, in ordine di importanza decrescente, i temi politici che sente come suoi, al di fuori delle ARP.

Stabilire un ordine decrescente è fuorviante e persino illogico. I problemi sono spesso interconnessi tra loro. Possiamo sostenere che lavoro e ambiente siano davvero scissi? Il Ticino oggi ha bisogno di aziende che siano rispettose di tutte le risorse che il territorio è in grado di offrire: dalle risorse uomo a quelle ambientali. Lo Stato è territorio, cittadini e istituzioni. I temi sono questi e sono correlati. Occorre rilanciare l’occupazione dei residenti, con un occhio al territorio e uno al lavoro del Parlamento, che deve sapere legiferare in modo intelligente per attirare aziende, favorire la crescita di quelle esistenti, incentivare la nascita di nuove imprese che siano fedeli ai principi che da sempre contraddistinguono la nostra terra: sussidiarietà, rispetto e orgoglio. Prima del boom del frontalierato il fenomeno dei working poor (coloro i quali, pure lavorando, sono vicini o sotto la soglia della povertà) era già certificato come reale e pesante. La libera circolazione ha fatto da cassa di risonanza a un andazzo – quello delle retribuzioni risibili – già radicato nell’economia ticinese. Tre decenni di liberalismo leggero e poco lungimirante hanno fatto da collante a una situazione che oggi è nota a tutti. E i risultati sono tanto pessimi quanto visibili.

Perché ha scelto la lista dell’UDC ? Perché non la Lega, o il PLR, o il PPD ?

Perché a mio avviso i democentristi si stanno adoperando per cambiare le cose. L’iniziativa “Prima i nostri”, il pacchetto di norme più famoso e più discusso del Cantone, è perfettibile. Ma è una picconata nel cuore di un sistema economico-lavorativo che si sta sedendo su sé stesso, creando un collasso generale.

L’UDC non si siede sui successi altrui, li genera. Il caso più recente riguarda La Scuola che verrà, un pasticcio concettuale che grazie all’UDC è stato rimandato al mittente.

E ora stiamo vigilando che, nella prossima legislatura, una riforma scolastica senza né capo né coda venga riproposta in un’altra salsa.

Quindi, per rispondere alla sua domanda: l’UDC è il partito che, secondo me, esercita una migliore proattività e una migliore lungimiranza.

Facciamo una stima. Quante persone nel Ticino sono toccate – in un modo o nell’altro – dalle ARP, con le loro procedure e le loro decisioni?

Un rapido calcolo suggerisce 30mila persone. Soltanto le curatele in Ticino sono 8mila e, considerando in modo spannometrico che ognuna di queste riguardi mediamente 2 persone, siamo già a 16mila. Se aggiungiamo le misure di intervento che, per esempio, dividono coniugi anziani, predispongono l’internamento di persone o dividono genitori e figli, 30mila è una stima ragionevole.

L’attuale struttura è stata creata recentemente. Quando? Con quali modalità? Che cosa c’era prima?

Nel 2013 si è puntato alla professionalizzazione. Un trucco persino indegno. I comuni sede di ARP hanno lanciato un referendum per impedire che avvenisse. Il popolo li ha smentiti ma il dipartimento delle Istituzioni ha ignorato la voce popolare, lasciando alle ARP il compito di fare di testa loro e nella totalità dei poteri che, a tratti, si sono auto-conferite.

Prima del 2013 l’assetto delle ARP prevedeva che queste fossero chiaramente identificate come ramificazione del dipartimento delle Istituzioni che ora ha perso completamente la bussola, non sapendo più bene se assegnarle funzionalmente al diritto amministrativo (quindi sotto il dipartimento di Norman Gobbi) oppure sotto l’ala giuridica, quindi indipendenti dalle Istituzioni.

Quando si dice ARP si pensa istintivamente a una “guerra tra genitori divorziati per i figli”. Ma ciò è limitativo, ci sarà senza dubbio dell’altro…

Le ARP intervengono laddove viene identificata una persona che incontra difficoltà. Si può trattare di rapporti tesi tra ex coniugi, di persone incapaci di gestire la propria vita sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista psicologico o economico. Le ARP possono estendere le proprie maglie su nascituri e su ultraottuagenari.

Lei è duro, molto duro con le ARP. Ma com’è possibile, mi domando, che questo ordinamento, innovativo e costoso (ben più costoso dell’antecedente), funzioni così male? Non può esserci – da parte sua e dei suoi “seguaci” – una sorta di partito preso?

Funziona molto male. Nonostante le continue revisioni le figure chiave rimangono quelle di sempre. Abbiamo casi, uno dei quali verrà specificato rispondendo alla domanda seguente, in cui anziani vengono prelevati con la forza per essere internati e anche casi contrari, in cui anziani che soggiornano presso una casa di cura, vengono fatti soggiornare in appartamento e seguiti da due badanti 24/7. Abbiamo casi di genitori che non vedono i figli sulla scorta di poco nulla, di voci, di perizie fatte al telefono. Abbiamo persone messe in ginocchio da curatori che si fanno pagare più di 5mila franchi l’anno per gestirne le finanze.

Per concludere la risposta: qual è il limite, qual è il confine per stabilire se un’istituzione lavora bene? A me come singolo e all’Associazione StopARP che presiedo, interessa che non vengano compiuti abusi e che vengano rispettate le norme nazionali e sovranazionali. Questo, molto spesso e sempre più soventemente, non accade.

E dunque, quali sono i “peccati mortali” delle ARP (con qualche esempio efficace)?

Un anziano a 87 anni è stato dichiarato (da medici) incapace di autodeterminarsi. Considerata la sua salute cagionevole è stato condotto in una casa di riposo. Alcuni medici curanti hanno sostenuto (peraltro a torto) che l’uomo fosse seguito in modo sommario dai suoi famigliari, avvertendo l’ARP 3 di Lugano che subito si è attivata, senza verifiche approfondite, per statuire una curatela.

Giunto all’età di 94 anni l’uomo, la cui salute era nel frattempo peggiorata, è stato giudicato (dall’ARP, non da un medico) capace di autodeterminarsi. Una sorta di miracolo. Da lì la decisione dell’ARP di fargli lasciare la struttura di ricovero per entrare in un appartamento, assistito da due badanti. Misure che hanno eroso il capitale dell’anziano in misura di circa 250 mila franchi. Gli eredi, e questo lo dice la legge, non possono sapere come sono stati impiegati questi soldi perché, anche se convocate in tribunale, le ARP non hanno il dovere di rendere conto del loro operato. Sono oltre la giustizia, vanno oltre il diritto, non possono essere toccate. Queste sono le ARP. La politica non affronta il problema, la legge le dichiara inarrivabili, il cittadino ne fa le spese senza possibilità di difesa.

Non pensa che certe accuse veementi e certe proteste possano scaturire dalla frustrazione delle persone, che si sentono colpite negli affetti più cari? E che manchino, eventualmente, di obiettività?

L’iter di esame di un caso è rigoroso: chi si rivolge a StopARP deve esibire tutta la documentazione che viene esaminata, discussa e sottoposta a uno degli avvocati della nostra rete e, laddove necessario, ad altri specialisti quali medici, psicologi, psichiatri, assistenti sociali. Laddove viene riscontrata una violazione di un diritto fondamentale, di una procedura medica o di una legge, allora possiamo intervenire.

Tutto ciò che ci viene riportato sottostà a una procedura di verifiche, proprio perché le persone coinvolte possono diventare poco obiettive.

Quella che potremmo chiamare “l’autorità di garanzia” per le ARP è il giudice Lardelli. Che cosa mi sa dire di lui? La sua “supervisione” è in grado di rimediare a eventuali manchevolezze?

L’organo che sovraintende alle decisioni delle ARP, ovvero la Camera di Protezione del Tribunale d’Appello, è mal gestita. Il presidente e giudice Franco Lardelli, appare in difficoltà: in tempi recenti ha fatto di tutto per sottrarsi a una decisione del Tribunale federale. Colui il quale è chiamato a fare rispettare le decisioni superiori, svicola. Facile immaginare che, in un simile contesto, le ARP si sentano ancora più autorizzate a fare ciò che credono: nessuno le richiama all’ordine, nessuno addebita loro responsabilità. Sbagliano senza assumersene l’onere.

È necessaria, a suo avviso, una revisione in tempi rapidi del sistema e della struttura? Se sì, chi avrà la forza di imporla?

È necessaria ma, al contrario di quanto si possa pensare, i tempi rapidi rischiano di essere nemici del risultato finale. Meglio sedersi al tavolo, ragionare, confrontarsi e impiegare qualche mese in più per ottenere un risultato migliore, invece dei pasticci fatti fino a oggi.

Se lei fosse eletto in parlamento, avrebbe maggiori possibilità d’azione. Che cosa farebbe concretamente, quali alleati si cercherebbe?

Ci vogliono norme nuove. Tutto è conseguenza di un tutto più grande e occorre mettere in atto poche misure che siano in grado di comprendere un insieme di cose e non solo pochi aspetti. La mia idea è quella di prevedere, per chi lavora per le ARP, una perizia psicologica e delle capacità che vada rinnovata ogni 24 mesi al massimo. Nel contempo serve una legge sulla responsabilità civile della cosa pubblica che sia meno fumosa e che non costringa il cittadino a provare il dolo. Chi sbaglia paga. Semplice, chiaro, retto. Non ci vogliono sempre accorgimenti machiavellici per trovare soluzioni efficaci a problemi reali e complessi.

Gli alleati? Non guardo al credo politico, conto sulle persone di buona volontà. Le ARP non guardano in faccia a nessuno, a prescindere dall’estrazione culturale, dal ceto e dalla posizione sociale.

Per concludere: sforziamoci di non essere totalmente negativi. Pronunci una parola di speranza.

Sono molto positivo. Se pensassi che non c’è più nulla da fare probabilmente non mi toglierei ore di sonno e non investirei denaro in una missione alla Cervantes.

Ogni giorno, e questo non lo dico soltanto da contendente a uno dei 90 seggi, incontro persone meravigliose che hanno voglia di futuro, di tranquillità, di un ambiente sereno in cui esprimere le rispettive individualità.

Credo che il Ticino abbia ancora molte carte da giocare. Occorre una visione d’insieme più completa e lungimirante. Sono certo che il Ticino avrà un grande futuro, ma dobbiamo essere decisi, coraggiosi e perseveranti.

Orlando De Maria

Candidato al Gran Consiglio, lista 16 UDC, candidato 24

Esclusiva di Ticinolive