di Vittorio Volpi

In un recente scritto, Gideon Rachman sostiene che mentre nel 19mo secolo si affermò l’idea di Hegel di “Stato Nazione” , oggi ci si sta avviando verso un modello di “Stato Civilizzazione”.

Che cosa vuol dire “Stato Civilizzazione”?

“È uno Stato  che non solo è costituito da un territorio storico, una lingua particolare o gruppo etnico, ma soprattutto si fonda su una distintiva civilizzazione”.

E l’autore sostiene che il modello si sta consolidando in paesi così diversi fra di loro; come la Cina, India, Russia e Turchia, ed anche gli Stati Uniti.

Questo modello, basato sulla “civilizzazione” ha inevitabilmente delle caratteristiche illiberali. Esso postula che questi Stati necessitano di istituzioni politiche che riflettano la loro unicità culturale. Rifiutano dei concetti universali di “diritti umani” o “standard democratici comuni”. Sono “civilizzazioni- centriche”, in altre parole. Lo “Stato Civilizzazione” è allo stesso tempo esclusivo: gruppi di minoranza o immigrati non sono considerati adatti per adeguarsi ai valori centrali della loro civilizzazione. Leggere Steve Bannon ed i suoi movimenti in Europa per capirci.

Un best seller dell’intellettuale cinese Zhang Weiwei (“Onda cinese-la nascita dello “Stato Civilizzazione”) sostiene che la Cina moderna ha avuto successo perché “ha rifiutato” le idee politiche occidentali.  Perseguendo invece un modello con radici profonde nella sua cultura confuciana basata sulla tradizione, scelta delle élites sulla base di selezioni, tramite esami e meritocrazia ed anche quindi bottom-up nel suo “socialismo con caratteristiche cinesi”.  Nel suo pensiero,  la cultura cinese assegna molta più importanza alla società che all’individuo, quasi un occidente alla rovescia. È ormai  noto che più ci si muove verso l’Oriente e più la figura dell’individuo si sfuma, fino a quasi scomparire in Giappone.

Quando si fanno le indagini di opinione in quell’area confuciana del mondo, al top dei valori risultano la stabilità, l’armonia sociale. Da noi, al primo posto veniamo noi, gli individui, la nostra famiglia, gli amici.

Nella Costituzione americana si dichiara che l’individuo deve avere il diritto di realizzare i suoi desideri, di affermarsi. L’enfasi è sull’individuo. In quella giapponese, ad esempio, prima della guerra, si stabiliva addirittura  invece che “ogni uomo ha un suo posto nella società’”.  Ed anche ora, non molto è cambiato. Niente supremazia individuale. La società ti assegna un posto e quello è.

Un  altro campione di questo indirizzo di “civilizzazione” è uno dei ministri del premier indiano Narendra Modi. Afferma  che i padri fondatori dell’India Indipendente, come Jawaharlal Nehru,  adottarono per errore concetti occidentali quali il socialismo scientifico, ritenendoli precetti universali, ma che non tenevano in debito conto i valori unici dell’India, dell’induismo, suo mantra culturale.

Egli  quindi conclude che “l’eredità culturale deve precedere lo Stato”.

Pure in Russia si sta affermando il concetto che il paese sia una distintiva civilizzazione euroasiatica, non integrabile con l’Occidente. Vladislav Surkov ha scritto che l’identità della Russia deve essere una “civilizzazione che ha assorbito Est e Ovest, con una mentalità ibrida, un territorio intercontinentale ed una storia bipolare”.

Anche negli USA Steve Bannon enfatizza la situazione degli Stati Uniti. La sua provocazione afferma che  le immigrazioni di massa distruggono i valori fondamentali del paese.

Questi sviluppi sono recenti ed imprevedibili? Certamente no, Samuel Huntington (il suo best seller “Lo scontro delle Civiltà”) scriveva nel secolo scorso che il mondo non sarebbe mai diventato una “democrazia liberale” uniforme. Alla fine, concludeva, l’Occidente si chiuderà in se stesso.

Huntington scrisse che dopo la fine della guerra fredda e del confronto Est-Ovest, “non ci sarà una civilizzazione universale (basate sulla democrazie liberale), ma varie insulae: dovremo imparare a vivere con differenti civilizzazioni (culture) che devono saper coesistere, vivere insieme”.

Compito non facile, come si può osservare dall’insuccesso del multiculturalismo.

Huntington e gli sviluppi intervenuti ed il trend che stiamo vivendo, confermano che aveva visto giusto:  “la democrazia liberale è il prodotto della cultura occidentale e non un elemento inevitabile del processo di modernizzazione”. Cina docet.

Fallace si è rivelata invece la teoria di Francis Paul Fukuyama, suo best seller “La fine della storia” che prevedeva  un mondo moderno basato sulla cultura americana, a sostegno dello stereotipo, ora più che mai  falso, che “viviamo tutti in un piccolo villaggio”.

È probabile quindi che il modello di “Stato Civilizzazione” sarà rilevante nei prossimi decenni e dovremo conviverci.  La prova del nove, cioè che “culture diverse creano non solo modi di pensare diversi, ma anche comportamenti diversi”.

Per questo, nei paesi attenti ai cambiamenti, le migliori università hanno istituito corsi di “Cultural Intelligence”, intelligenza culturale, affinché i giovani imparino a capire le culture dell’altro cercando insieme nuovi orizzonti culturali.