Il cartello al campo base recita: “Look to your Left Killer Mountain Nanga Parbat”. Così è soprannominata la nona montagna più alta della Terra che si trova in Pakistan con i suoi 8’123 metri di altezza.

Una montagna molto complessa, pericolosa e con una storia alle spalle terribile per il numero di morti sulla sua cima.

I due uomini scomparsi due settimane fa durante la scalata sullo Sperone Mummery, l’angolo più pericoloso della montagna, erano due alpinisti: il 42enne italiano Daniele Nardi e il 30enne britannico Tom Ballard. L’ultima comunicazione con il campo base è avvenuta lo scorso 24 febbraio una volta raggiunto il campo C4 ad una quota di 6’300 metri con nebbia, nevischio e forti raffiche di vento. A causa del tempo, avevano deciso di scendere al campo C2 a quota 5’200 metri, poi sono stati persi definitivamente i contatti.

Dopo 13 giorni passati con ogni ragionevole speranza di trovarli ancora in vita, la loro morte è stata confermata dai soccorritori che hanno avvistato sabato mattina attraverso l’uso di un potente telescopio i corpi senza vita dei due alpinisti ad un’altezza di circa 5’900 metri. Date le condizioni, nessuno è in grado al momento di confermare se verrà effettuato il recupero delle vittime. Probabilmente rimarranno lassù nel punto più impervio della parete.

Le ricerche, coordinate con l’invio di droni e di elicotteri con a bordo soccorritori guidati dall’alpinista spagnolo Alex Txikon e dall’alpinista pakistano Ali Sadpara, sono state condotte in ritardo perché ostacolate non solo dal cattivo tempo ma anche dal fatto che il Pakistan ha dovuto superare il divieto di volo imposto per la chiusura dello spazio aereo a causa delle tensioni con la vicina India per la disputa in corso della regione himalayana del Kashmir.

I due alpinisti erano professionisti scrupolosi molto preparati. Si erano conosciuti nell’estate del 2017 partecipando a Trans Limes, una spedizione internazionale dedicata all’esplorazione delle valli Kondus e Kaberi nel Karakorum pakistano, e avevano iniziato a preparare la spedizione a dicembre 2018. Con loro si erano uniti anche due alpinisti pakistani che però, una volta intuita la pericolosità delle cattive condizioni metereologiche, hanno rinunciato a proseguire.

Nardi, originario di Sezze, un paese vicino Roma, aveva già tentato cinque volte la vetta della montagna “assassina”. L’alpinista italiano Reinhold Messner, famoso per aver fatto la prima scalata in solitaria del Monte Everest ed essere stato il primo alpinista a scalare tutte le quattordici cime oltre gli 8 mila metri, perse nel 1970 il fratello Gunther proprio nella stessa parete della Nanga Parbat.

“A Daniele Nardi dissi che salire lì non è un atto eroico ma è stupidità”, ricorda Messner dopo aver appreso la notizia, “Chi va in montagna rischia sempre. Però l’arte dell’alpinismo sta nella capacità di superare difficoltà e di evitare pericoli, e in quell’angolo della montagna non si possono aggirare i pericoli. Un bravo alpinista in quella parete non va”, ha aggiunto.

Lo spirito dei due alpinisti morti, era però molto alto. Nel suo ultimo messaggio postato del 19 febbraio su Facebook, Ballard aveva scritto che la vita al campo base era quasi come una vacanza mentre si aspettava il miglioramento delle condizioni atmosferiche. “Pranzo al sole e sci pomeridiano. Cosa si può volere di più?”, aveva scritto.

Tom Ballard, era il figlio della famosa alpinista Alison Hargreaves, morta anche lei durante la discesa del K2 nel 1995, lo stesso anno in cui divenne la prima donna a conquistare l’Everest senza nessun tipo di aiuto. Negli ultimi anni, Ballard viveva con il padre in Val di Fassa, nel cuore delle Dolomiti trentine.

Coloro che hanno seguito gli eventi e che conoscono le storie delle ascensioni invernali degli ottomila metri, sanno che queste sono imprese che vanno ben oltre i limiti della resistenza umanacausa delle temperature glaciali, il tempo impossibile, i venti fortissimi in alta quota ed anche a causa dell’isolamento totale.