Il DNA ha stabilito la cruda verità: l’adolescente è veramente padre del bambino.  

L’infermiera ha 39 anni, è sposata, e nel tempo libero da ripetizioni di inglese. Uno dei suoi allievi di anni ne ha 14 e – c’è poco da ricamarci sopra sui dissidi adolescenziali e i turbamenti interiori – è sessualmente attivo.

I due hanno, secondo le testimonianze di ambedue, numerosi rapporti sessuali. (Altro che studiare inglese!)

Poi lei resta incinta. E quindi si deve procedere al test del DNA. Di qui l’amara scoperta: il padre del bambino è il 14enne.

Per le norme attuali il padre del bambino sarebbe pur sempre il marito della donna (ricordate Anna Karenina? il marito di lei si tiene la di lei figlia se pur il padre sia VronskiJ… scusate, vi ho detto la fine?), per la cosiddetta presunzione di paternità.

Ma, dato il chiaro risultato del test, la madre potrà chiedere il disconoscimento della paternità del piccolo, mentre il 14enne, padre biologico, potrà chiedere il riconoscimento del bambino tramite i genitori, che dovrebbero presentare richiesta al Pubblico Ministero.

Il piccolo, divenuto grande e maggiorenne, potrà chiedere, a sua volta, il disconoscimento del padre biologico.

Tutta questa storia, col l’assordante assenza di amore, responsabilità e morale, fa una gran tristezza.